Medioevo ed età moderna

 

Introduzione

La mancanza di punti di riferimento conseguente alla caduta dell'impero romano pose termine a numerose istituzioni, fra cui quella del servizio antincendi. La militia vigilum, che pur fondata dal primo imperatore Augusto affondava le radici nella Roma repubblicana, cessò d’esistere mano a mano che le città dell'impero andarono svuotandosi di abitanti a favore delle campagne.
Tuttavia i rischi legati ai roghi accidentali o deliberatamente provocati costituivano ancora una delle minacce più gravi al regolare svolgimento delle attività quotidiane e alla sopravvivenza delle comunità urbane medievali, e l'azione spontanea dei popolani era incentrata quasi esclusivamente sull'improvvisazione.
Quando divampavano le fiamme si ricorreva infatti a persone che, a titolo volontario e con mezzi occasionalmente reperiti, tentavano in qualche modo di spegnerle.
La precarietà di un tale sistema e la mancanza di qualsiasi pianificazione rendevano questi sforzi quasi del tutto vani. È evidente inoltre, in questo periodo, la visione trascurata di tutti i problemi connessi al prevenire o al reprimere il divampare di fiamme pericolose: dalla mancanza, per esempio, di un sistema in grado di garantire la disponibilità delle risorse idriche all'assenza di una qualsiasi pianificazione nella lotta agli incendi.
Nel periodo alto-medievale prevaleva quindi un atteggiamento fatalistico e di sfiducia, in quanto le calamità e i roghi di vasta portata venivano identificati per lo più come castighi divini. Significativa in tal senso è la cronaca secondo la quale, nell'anno 847, durante l'incendio verificatosi nel quartiere romano di Borgo, fu papa Leone IV ad intervenire personalmente per domare le fiamme, sulle quali gettò i propri paramenti sacri provocandone l'estinzione. Altro "metodo" per scongiurare o affrontare gli incendi e i disastri era quello di portare in corteo le spoglie del santo protettore della città o altre reliquie e simulacri.
Tutti questi elementi testimoniano il senso d'impotenza delle genti dell'alto Medioevo di fronte ad eventi di quel tipo e il loro rifugiarsi all’interno di un atteggiamento fatalistico e passivo, che concorse ad impedire la presa di coscienza necessaria a dare impulso a organizzazioni in grado di fronteggiare le sventure legate al fuoco.

 

I primi servizi antincendi medievali

Perché si ovviasse a tale situazione bisognò attendere l'VIII secolo, quando Carlo Magno iniziò a ripristinare un sistema organizzato di prevenzione ed estinzione degli incendi.
Quest'ultimo, pur non eguagliando ancora l'efficacia della militia vigilum d'epoca romana, fu il primo serio tentativo di ripristinare un servizio la cui assenza si era fatta pesantemente sentire.
Il monarca franco promosse la costituzione di gruppi coordinati di cittadini impegnati nel garantire la sicurezza delle città. In molte province del Sacro Romano Impero (di cui Carlo Magno fu incoronato sovrano da papa Leone III nella notte di Natale dell'anno 800) sorsero associazioni private di natura sia religiosa sia laica che contemplavano lo scopo comune di difendere il territorio dalle fiamme e di assicurare alla popolazione un supporto di protezione civile.
Tali sodalizi, detti gilde o giure, composti prevalentemente da mercanti e artigiani, furono anche chiamati associazioni di mutua guarentigia.
Dopo una breve esistenza, vennero però soppressi perché la loro potenza e il grado di organizzazione ormai raggiunto impensierivano non poco i regnanti del tempo.
Tuttavia l'attività delle gilde continuò a lungo, seppure in modo clandestino e tra mille difficoltà e pericoli.
Sempre in Francia si affermò poi un'altra istituzione, in seguito importata anche in Italia. Si trattava di un corpo costituito da "gente di mestiere" che veniva reclutata tra gruppi di borghesi e addestrata a fornire supporto alla milizia militare.

 

Le Corporazioni antincendio tra i secoli XIII e XVII

Nel periodo compreso tra i secoli XIII e XVII, in concomitanza con lo sviluppo dei Comuni italiani e con l'avvento del Rinascimento prima e del Barocco poi, anche i servizi antincendi progrediscono, grazie ad una maggiore organizzazione generale della vita civile e all'affidamento del servizio alle corporazioni di arti e mestieri.
Vediamo una breve disamina sullo stato del servizio, nell'arco di questi secoli, in alcuni tra i principali comuni italiani.

Ferrara

Nello Statuto del 1288 esisteva già la norma di prevenzione relativa all'impiego delle tegole (materiale incombustibile) in luogo della paglia usata per i tetti delle abitazioni. Ciò costituiva, per l'epoca, un fatto innovativo di rilievo.

Prato

Dai Libri Hannorum del Podestà di Prato, conservati negli Archivi di Stato, si ritrae che il Comune di Prato aveva dato l'incarico antincendio ai "maestri di pietra e legname".
Nei bandi dal 1270 al 1283 si ritrovano le regole di tale incarico.
Numerose Corporazioni esistevano a Prato fin dal 1270: orefici, gualchierai, fornai, arte del lino, lanaioli, legnaioli, arte della pietra, ecc..
I lavoratori del legno ebbero nel Duecento una propria organizzazione e il relativo Statuto imponeva loro di prestare aiuto in caso di incendio.
Questa organizzazione, secondo lo Statuto del 1303, aveva anche una sede in Porta Tiezi.

Firenze

Nel XIV secolo Firenze fu all'avanguardia nell'organizzazione della lotta agli incendi.
Come già avvenuto in altri agglomerati urbani dell'epoca, lo svilupparsi delle associazioni delle Arti e delle Corporazioni, che rappresentavano i mestieri emergenti, portò le autorità cittadine a dare vita, nel 1344, alla Corporazione della Guardia da Fuoco, che divenne lo strumento dell'opera di soccorso in caso di incendio.
I suoi membri avevano sede in quattro botteghe artigiane, costantemente aperte, e, in caso di emergenza, erano pronti a intervenire con gli strumenti e le attrezzature disponibili.
In un documento intitolato De modo et forma tenendi circa estinguendum ignem in civitade Florentiae, risalente al 1410, sono riportate le indicazioni relative all'istituzione della Guardia da Fuoco.

Nel 1416, sotto l'egida della famiglia de' Medici, il comune di Firenze proseguì su questa strada regolarizzando una formazione costituita da quattro squadre che, disolocate in vari quartieri della città, prevedevano ognuna dieci uomini, suddivisi in un caposquadra, quattro mastri e cinque manovali.
Per il loro incarico, che durava quattro mesi ed era rinnovabile, ciascuno di essi aveva diritto a una remunerazione fissa, con l'aggiunta di un soprassoldo per ogni incendio al quale era chiamato a intervenire.
A verificare la presenza giornaliera dei componenti di ogni squadra era preposto un notaio, il quale poteva comminare sanzioni in caso di assenze dal servizio.
La sede centrale della Guardia da Fuoco era posta in una torre che si trovava nei pressi del ghetto cittadino, dove erano accasermati costantemente alcuni addetti e si trovavano immagazzinati i materiali e le attrezzature di lavoro.

Cagliari

A Cagliari i primi documenti scritti sui pericoli d'incendio sono in lingua castigliana, nel vol. 17 dei Libri de Originacions de la città de Galles, cap. 121, e risalgono al XIV secolo.
Si tratta di un approccio alle misure di prevenzione relative al castello di Cagliari.
Infatti si prevedeva la demolizione dei forni esistenti dentro il castello, il divieto di detenere paglia in botteghe dove non c'è soffitto e il divieto di accendere il fuoco, la proibizione di tenere focolari anche sulla soglia di cucina, l'inibizione ad incendiare stoppie entro un raggio di 10 miglia.

La Corporazione dei Brentatori

Altre città italiane affidarono il servizio antincendi alla Corporazione dei Brentatori.
Questi ultimi dovevano il loro nome alla bigoncia in legno, chiamata brenta, con la quale originariamente approviggionavano di vino e di acqua gli osti delle locande.
In caso di incendio, i membri della Corporazione dei Brentatori erano obbligati ad accorrere dove divampavano le fiamme portando ciascuno con sé una brenta colma di acqua.
Questa, costituita da un recipiente curvo costruito in spesso legno di castagno, era spalleggiabile mediante bretelle e aveva un peso a vuoto equivalente a circa dieci chilogrammi.
La sua capacità non era però uniforme: corrispondeva a circa 72 litri nella città di Reggio Emilia, a circa 75 litri a Milano e a circa 49 litri a Torino.
A fronte dell'attività di pubblica utilità svolta per la salvaguardia dei beni, delle cose e delle persone, i brentatori erano esentati dal pagamento di alcune tasse.
Vediamo ora nello specifico il servizio svolto dai brentatori nelle città nelle quali operarono nell'ambito dell'antincendio.

Reggio Emilia

Nello Statuto di Reggio Emilia del 1267 si diceva: "Si quis ex brentaribus de die et nocte, in civitate vel burgis…ordinamus premiatur quilibet rarum non currerit et non portaverit acquam ibi, in decem soldis rex".
In sostanza veniva posto l'obbligo ai brentatori, di giorno o di notte, in città o nei borghi, di portare l'acqua per spegnere gli incendi e veniva stabilita la sanzione pecuniaria in caso di inosservanza.
Nello Statuto del 1311, libro III, si prescriveva l'obbligo, per il brentatore, di restare sulla piazza e l'applicazione di multe in caso di contraffazione della misura della brenta.
Con gli Statuti del 1501 e del 1582 si imponeva che il brentatore non si allontanasse dal luogo dell'incendio sinché questo non fosse stato interamente spento, sotto pena di lire 5 di multa.
In quell'epoca Reggio Emilia era sotto il governo della Signoria d'Este (1409) che cesserà con l'arrivo dei francesi nel 1796.
Come può notarsi il provvedimento fondamentale adottato è stato quello di garantire la disponibilità dell'acqua di estinzione, anche se in quantitativi ridotti.

Parma

Negli Statuti di Parma si ritrovano misure analoghe a quelle di Reggio Emilia, ad eccezione del livello stabilito per le multe e per l'unità monetaria.
I brentatori dovevano stazionare nel centro della città e venivano avvertiti del divampare di un incendio dal suono della campana dell'orologio pubblico (detto "Fuoghina").
Le fiamme e il fumo venivano sorvegliati dai "Turreani" (custodi della Torre) di cui è traccia negli Statuti del 1582.
Anche lungo il perimetro esagonale delle mura cittadine erano poste sentinelle con il compito di vigilanza e avvistamento degli incendi.
Fuori delle mura cittadine gli abitanti erano protetti dai custodes a contatto diretto con le sentinelle della Torre.
Provvedimenti tradizionali, comportanti azioni di vigilanza e impegni per l'approvvigionamento dell'acqua di estinzione, forniscono un quadro di sostanziali analogie operative con gli altri Comuni dell'area geografica.

Venezia

Le prime indicazioni sul modo di affrontare gli incendi a Venezia risalgono al 1325 a cura del Maggior Consiglio che pose l'obbligo di prestarsi, per lo spegnimento, ad alcune classi di cittadini.
Anche presso ogni Signore, di notte, dovevano essere tenute pronte alcune attrezzature (manere, martelli con stanghe, secchie).
Nel 1450 fu stabilito che i portatori di secchie di vino, i brentatori, dovessero provvedere con le proprie secchie all'estinzione degli incendi, con pena di multa per il mancato intervento.
Nel 1505 furono istituite squadre di soccorso con operai e nello stesso anno il Consiglio dei 10 stabilì che in ogni contrada venisse eletto un capo a la reparation del fuogo, per organizzare la squadra degli addetti prescelti in base al mestiere (merangoni, navali, calafoti, murari e marinai).
Anche i Pievani, responsabili ecclesiastici, furono incaricati di ricevere e custodire i materiali utili.
Per non creare allarma fu posto il divieto di suonare le campane nella notte per segnalare l'incendio e sul luogo delle fiamme veniva posta una sorta di guardia per evitare furti e atti vandalici.

Milano

Gli Statuti Milanesi del 1502 sono gli atti formali che riportano le disposizioni date per l'estinzione degli incendi.
Essi sono stati basati sugli obblighi, posti a carico dei facchini brentatori, di provvedere all'estinzione degli incendi.
Il riferimento alla corporazione dei facchini brentatori testimonia l'analogia con i collegi di fabri dell'epoca romana, il che è documentato nelle indicazioni in latino di una lapide rinvenuta a Milano nel 1619.
L'utilizzo del personale (facchini brentatori) incluso prima nei collegi di fabri poi nelle corporazioni, ha rappresentato il criterio di scelta dei mestieri ritenuti più idonei, in caso d'incendio, a dare prestazioni per l'estinzione.
A Milano i facchini brentatori vennero dislocati, per assolvere all'incarico, presso le porte della città, con l'obbligo di stazionare in prossimità delle stesse.
Risulta, inoltre, che l'allarme d'incendio veniva dato dalla campana del Broletto che, a tale scopo, suonava a stormo.

Torino

A partire dal XIV secolo il Comune di Torino intraprese un'opera di bonifica del territorio cittadino, volta ad ottenere una migliore situazione igienica e di sicurezza antincendio.
Per quest'ultima sussistevano misure dell'età medievale sia negli Statuti Trecenteschi, raccolti nel Codice della Catena, sia nei Libri Consiliorum quattrocenteschi, contenenti anche misure di limitata efficienza (Quod aqua veniat in civitate timore incendio rum).
Per la lotta agli incendi alcuni provvedimenti adottati dal Comune di Torino imposero le vedette sulle torri e sui campanili delle chiese ed istituirono servizi di pattugliamento notturno (1333). In caso d'incendio, inoltre, non mancavano pene repressive per coloro che violavano gli Statuti Torinesi del 1360 che, in alcune disposizioni, vietavano la costruzione dei Portici in legno e paglia lungo la strada pubblica (oggi via Garibaldi).
Altro dato significativo è rintracciabile dalla decisione sulla tassazione dei materiali edili, disposta dal Comune di Torino nel 1377 (Asct Orlandi, vol. 88, c. 77, verbale del 15 marzo 1377, il che fa presumere che a tale data si era già diffusa la costruzione di edifici in muratura.
Quanto precede è indicativo del fatto che, in corrispondenza dell'epoca e in mancanza di risorse tecniche e di organismi specifici per le esigenze di sicurezza antincendio, si dava importanza alle parziali misure di prevenzione incendi, riducendo l'uso di materiali facilmente incendiabili e ponendo vincoli sui comportamenti a rischio delle persone.
Nel 1442 il Comune di Torino provvide a incaricare alcuni artigiani della città per costruire secchi di cuoio (sicula de coreo), scale sovrapponibili (dimidia scalam) e attrezzi (trochiis) per l'estinzione di incendi.
Questo fu il presupposto per creare un organismo antincendio.
Nell'avvicendarsi del potere, nella città di Torino è da ritenere che il compito dell'estinzione degli incendi sia stato assunto dai militari, in quanto nel 1668 una delibera del Comune volle coordinare l'opera dei militari con l'apporto dei privati.
Per concorrere all'estinzione degli incendi fu chiamata anche qui la categoria dei brentatori, destinati ad impegnarsi, mediante le bigonce in legno portate a spalla, nel trasporto dell'acqua di estinzione.
Nel 1678 l'opera dei brentatori divenne obbligatoria, per decisione del Comune.
Alla fine del XVII secolo ebbe successo la realizzazione di particolari attrezzature dette spruzzatoj.

 

I servizi antincendi nel XVIII secolo

Dai documenti del periodo, più numerosi rispetto ai secoli precedenti, abbiamo informazioni più dettagliate sullo stato dei servizi antincendi nelle varie città italiane, e ne illustriamo di seguito una sintesi.

Modena

Il Governo Ducale nel 1710 pubblicò una Grida o provvisione sugli incendi in città che, negli anni seguenti, venne ripubblicata (nel 1721 e nel 1751).
In tale editto vennero fissate le prescrizioni da osservare nella città capitale degli Stati del Serenissimo Nostro Signore.
Erano prescrizioni per il custode della campana, che doveva dare l'allarme in caso d'incendio, per i brentatori, i muratori, i merangoni (falegnami) ed i facchini che dovevano portarsi sul luogo; per i due Gentiluomini deputati (un architetto e un mastro muratore) a vigilare sull'osservanza delle misure preventive previste per gli edifici e sulle operazioni di spegnimento; per i Priori della città ed i Giudici incaricati di fornire assistenza.
È questa una sorta di struttura Comunale.
Pene severe erano previste per chi rubasse approfittando del sinistro e tutti i privati, se richiesti, erano tenuti a prestare attrezzi e/o cose ritenute necessarie.
Sono citate iniziative per offrire in vendita le pompe (da un Ufficiale francese, dal Segretario Ducale), che però non ebbero esito positivo.
Nel 1776 vennero apportate modifiche alle grida del 1751, tra queste quelle che obbligavano gli uomini a trasportare sul luogo dell'incendio la macchina idraulica.

Venezia

Nel 1718 il Senato di Venezia emise un decreto per accertare lo stato dell'organizzazione antincendio e dei mezzi utilizzati presso gli stati esteri.
A seguito di ciò, e con riferimento a Vienna, si ebbero indicazioni sulla vigilanza e segnalazione degli incendi, sulle modalità di azione negli incendi di camini, sulle macchine idrauliche in uso.
Analoghe indicazioni furono ricavate anche dallo stato delle cose esistenti in Germania e in Francia.
Nel 1737 si provvide all'organizzazione di 300 maestranze divise in 6 squadre di 50 uomini ciascuna.
Nello stesso anno il Senato emanò regole per i depositi di materie infiammabili, per la costruzione e la pulizia dei camini.

Torino

Torino, nel 1668, divenne capitale sabauda a seguito del Trattato di Chateau-Cambresis e nel 1758 raggiunse 74.527 abitanti.
Il suo territorio, urbano ed extraurbano, aveva in dotazione sei pompe antincendio e già si comincia a parlare di un servizio ippotrainato delle pompe per la tempestività del loro uso in caso di incendio.
Gli addetti all’estinzione dal 1772 ebbero dal Comune divise e mezzi di protezione individuale e nel 1786, regnante Vittorio Amedeo, mediante Regio Regolamento si realizzò la struttura antincendio (truppa senz'armi) e vennero stabilite modalità d'intervento, comportamento degli addetti, uso delle pompe, norme per l'allertamento degli operatori.

Roma

Il 6 maggio del 1734 avvenne, nella città di Roma, il singolare episodio di un grande rogo "domato" a cannonate.
Nell'occasione le fiamme si svilupparono in Campo Marzio, in una zona compresa tra il porto di Ripetta e la porta del Popolo, e determinarono in un primo tempo l'incenerimento della cosiddetta Legnara al Popolo, situata in riva al fiume Tevere, che fungeva da approdo per le imbarcazioni di legname e di "grascia" (cereali).
In seguito il fuoco si propagò alle abitazioni limitrofe, fino a coinvolgere la zona di via Lata (l'odierna via del Corso).
Questo incendio restò impresso nella memoria dei cittadini romani per molto tempo, tanto da far sì che la zona compresa tra le chiese di San Carlo e San Giacomo fosse battezzata con l'appellativo di Case Bruciate.
Per contribuire allo spegnimento delle fiamme fu utilizzato un sistema adottato solo nei casi di massima emergenza: venne cioè chiesto agli armigeri di Castel Sant'Angelo di radere al suolo gli edifici coinvolti dal rogo. Gli artiglieri papalini posizionarono allora i cannoni in piazza dell'Oca e iniziarono a sparare potenti scariche di colpi.
Inizialmente furono utilizzati due pezzi, ma data l'entità dell'incendio ne vennero aggiunti altri cinque, tra i quali il cosiddetto "cannone da breccia", impiegato negli assedi.
Alla luce del rischio corso dalla città di essere in gran parte distrutta dalle fiamme, l'incendio "domato a cannonate" fu probabilmente l'evento che convinse le autorità locali a istituire un vero e proprio corpo antincendi, o quanto meno a migliorare il servizio esistente.
Nacque così, nel 1739, l'ordine dei "Focaroli".
Fu il governatore di Roma, Filippo Bondelmonti, ad emanare lo Statuto, o Regolamento dei Vigili romani, costituito da 20 articoli.
L'organico fu previsto in 45 persone, scelte tra maestri muratori e maestri falegnami, coadiuvati da 20 facchini per portare l'acqua in 48 barili.
A tutti i designati era concesso il porto d'armi ed era anche prevista una paga (maggiore per i maestri).
L'acqua disponibile veniva gettata da breve distanza sull'incendio per mezzo di otto "schizzettoni" (delle vere e proprie siringhe che di fatto erano gli estintori del tempo. Due esemplari sono conservati ed esposti al Museo storico del Corpo nazionale ricostituito accanto al Sacrario delle Scuole Centrali Antincendi).
Gli allarmi per incendio erano dati dalle campane delle chiese.
Con ordinanza del 1772 l'organico dei Vigili romani fu elevato a 160 unità, compreso un architetto civile.

Livorno

Una sorta di regolamento per fronteggiare gli incendi fu emanato nella città di Livorno l'11 marzo del 1782.
Lo si evince da una lettera inviata dal governatore della città alla segreteria del Granduca.
Da essa si ricava che l'avviso degli incendi era affidato alle pattuglie notturne in marcia nella città.
Queste informavano la Gran Guardia della città che inviava sul posto un Caporale e 6 soldati.
Le operazioni di spegnimento erano affidate ai predetti ed alle maestranze resesi disponibili.
Erano previste ricompense ai partecipanti su proposta del Tenente degli Ingegneri.

Cagliari

Al 1781 risalgono i provvedimenti emanati dalla Regia Segreteria di Stato per lo spegnimento degli incendi.
Vi sono disposizioni di comportamento per i Maestri di pulizia del Castello e dei borghi, per i Capi Maestri della città con le loro "ferramenta" insieme ai legnaioli e muratori, per i "carratori" adibiti al trasporto dell'acqua.
Altre testimonianze relative ad una sorta di organizzazione antincendio risalgono al 1783, sono scritte in francese, e comprendono le disposizioni in caso d'incendio per il Castello e sobborghi di Cagliari.
In esse venivano stabilite le mansioni del personale militare che al suono delle campane, in caso d'incendio, si doveva portare presso la fontana di S. Lucia, e quella di San Pancrazio.

I Corpi antincendio nell'Europa del 700

Mentre a Roma, nella metà del XVIII secolo, l'ordine dei Focaroli ammontava a sole 45 unità scelte tra maestri muratori e maestri falegnami, coadiuvati da 20 facchini, in Francia il corpo dei vigili assumeva un'importanza crescente a tutti i livelli.
La città di Parigi, per esempio, nel 1795 poteva contare su 60 macchine da incendio e 28 distaccamenti di vigili del fuoco, per un totale di 376 uomini, e in tutta Europa venivano perfezionate le macchine per spegnere le fiamme.
È il caso della Germania, dove il comune di Norimberga possedeva una pompa il cui getto d'acqua raggiungeva l'altezza di una casa di tre piani.

 

La prevenzione e la lotta contro gli incendi nelle città medievali e in quelle dell'età moderna

A cura di Domenico Andriello

Organizzazioni per la prevenzione e la repressione degli incendi si ebbero in tutte le più importanti città dell'Impero Romano, ma con la sua caduta anche queste istituzioni, come altre, decaddero completamente o andarono declinando per l'incuria della autorità politica fin verso la fine del secolo VIII.
Si ebbero in seguito organizzazioni private ed anche a carattere religioso che avevano per scopo la mutua assistenza in caso di incendi.

Nel secolo IX Carlo Magno emanò delle norme protettive contro gli incendi e si ebbero di nuovo in molte città delle guardie notturne incaricate di vegliare sulla pubblica sicurezza.
Per avere però un Corpo speciale organizzato nel senso quasi moderno della parola bisogna giungere alla costituzione in Francia (Parigi) del Corpo dei Sapeurs-pompiers, trasformazione di una precedente organizzazione fondata nel 1699 dall'industriale Dumourrier-Duperrier.
Ma per quanto riguarda l'evoluzione dei regolamenti di prevenzione, essa va di pari passo con lo sviluppo del nuovo ordine sociale.

Col decadimento delle istituzioni politiche, seguito alla caduta dell'Impero Romano, anche lo sviluppo della vita urbana subì un notevole arresto: l'economia intristì al punto che in conseguenza del disorientamento prodotto dalle invasioni straniere si giunse, intorno al 1000, a credere prossima la fine del mondo.
Sotto la pressione delle orde barbariche le città maggiori si spopolarono in parte e la popolazione rimasta si restrinse in nuove e più limitate cinte murarie, sistemandovisi nell’interno con edificazioni costruite sulle aree libere del chiaro schema a scacchiera impostato sui cardi e sui decumani.
Altri centri vennero abbandonati dagli abitanti che sotto la guida di capi civili o religiosi, per sfuggire alle continue scorrerie, si rifugiarono spesso in località impervie, fondando nuovi agglomerati urbani che risentirono, nella loro ubicazione e conformazione strutturale, della preoccupazione difensiva oltre che della precarietà e limitatezza degli scambi commerciali.

Si ebbero così le tipiche città medioevali con strade strettissime e tortuose, case ammucchiate l'una sull'altra e costruite massimamente con materiale legnoso, tranne quegli edifici religiosi o secolari per cui interessi superiori facevano trascurare il costo della costruzione e che erano pertanto edificati con materiali incombustibili (castello, abbazia, ecc.).
È di questo primo periodo medioevale l'istituzione del coprifuoco, come misura di prevenzione contro gli incendi, per impedire che faville, brace e calore di irradiazione potessero causare la accensione delle strutture lignee degli edifici e produrre con la propagazione danni irreparabili.

L'obbligatorietà di tale istituzione che fu enormemente diffusa in tutti i paesi, viene popolarmente attribuita a Guglielmo il Conquistatore (intorno al 1000).
Misure drastiche furono prese pure dal primo Lord Mayor (Sindaco) di Londra, sotto il regno di Riccardo I (1189), il quale emanò un regolamento che prescriveva la costruzione di muri di partizione di 3 piedi (circa 90 cm.) ed alti 16 (circa circa m. 4,90) ed aggiungeva: "Chiunque voglia costruire abbia cura, se ama se stesso ed i suoi beni, di non fare il tetto né di canne, né di giunchi, né di altre cose del genere, ma solo di tegole, mattoni, tavole, e, se può essere, di piombo. Inoltre tutte le case che finora sono coperte di giunchi o canne, che possono essere coperte con gesso, siano coperte di gesso nel giro di otto giorni, e quelle che non lo possono siano demolite dagli Aldmen (assessori) o dagli uomini di legge. Tutte le case di legno che sono prossime alle case di pietra in Cheap, e per cui queste sono in pericolo, devono essere senza altro modificate o, senza alcuna eccezione, a chiunque appartengono, buttate giù".

Dopo l'incendio del 1666 che distrusse la parte più importante di Londra, il Re Riccardo II, fece ricompilare per la ricostruzione, norme edilizie i cui criteri antincendi erano alla base. I regolamenti fissavano lo spessore dei muri, l'altezza dei vani, la lunghezza e spessore delle travi, l'altezza delle abitazioni sul livello stradale, la larghezza delle vie, la natura dei materiali atti alla costruzione, ecc..
Gli Ispettori, gli assessori ed il Lord Mayor di Londra ebbero dal Re l'autorizzazione di imprigionare quelle persone che continuassero ad erigere case in contravvenzione alle Leggi e dei Regolamenti edilizi e di abbattere le case stesse.

L’incendio del 1666 portò anche a delle sistemazioni urbanistiche della città di Londra che per l'epoca sembrarono rivoluzionarie.
Molto si è parlato della trasformazione della città medioevale in città moderna e chiunque, anche non essendo profondo conoscitore della nostra materia, sa l’influenza che ha avuto la macchina ed il meccanicismo sulle manifestazioni spirituali e materiali del pensiero umano.
Tuttavia desideriamo soffermarci un po' per chiarire i concetti e fissare, se pur vagamente, i limiti di questa trasformazione, molto più lunga di quello che possa apparire ad un occhio profano.

La scuola inglese che fa capo a Patrick Geddes ed ha un attuale, autorevolissimo assertore e divulgatore nell’americano Mumford, distingue nell'età del meccanicismo quattro periodi: eotecnico, paleotecnico, neotecnico e biotecnico.
Il periodo eotecnico, dal X al XVIII secolo, comprende gli albori della tecnica moderna. La sua economia si basa sull'uso del vento, dell'acque e del legno; il legno è usato come principale materiale da costruzione.
Il paleotecnico, che giunge fin verso la fine del 1800, è il periodo dell'invenzione della macchina a vapore ed ha un’economia basata sul carbone e sul ferro, il quale ultimo viene adoperato anche come materiale da costruzione.
Il periodo neotecnico è caratterizzato dall'introduzione della elettricità su cui si basa la nuova economia. Il telegrafo, il telefono, la radio, i mezzi di comunicazione più veloci danno un nuovo impulso alla vita ed un differente aspetto alle sue manifestazioni.
Il biotecnico è il periodo di un'economia che va sorgendo e sempre più separandosi dal complesso puramente meccanico del periodo neotecnico.
In esso le scienze biologiche vengono applicate alla tecnologia, alla quale si orienta sempre più verso l'interpretazione della vita.

Invenzioni principali: l'aeroplano, il fonografo, il cinema, tutti parzialmente derivati da uno studio di organismi viventi.

Tutti e quattro questi periodi hanno introdotto problemi di organizzazione sociale, di tecnica urbanistica e di tecnica antincendi interamente nuovi.
I primi due periodi sono caratterizzati dall'accrescimento casuale ed isotropo degli agglomerati (sviluppo a macchia d'olio).

Le industrie sorgono frammischiandosi alle abitazioni dei grossi centri serviti dalle ferrovie, con tutti gli svantaggi ed i pericoli che questa promiscuità può causare.

Il rischio del fuoco raggiunge il massimo a causa di tre elementi distintivi, ma concomitanti, e cioè: l'aumento di dimensione degli edifici; la particolare infiammabilità e combustibilità del loro contenuto (carta, fibre tessili, sostanze chimiche, ecc.); lo stato primitivo dell'illuminazione e del riscaldamento (petrolio, legno e carbone, ecc.).
Ne consegue una serie di paurosi incendi che si verificano per tutto il XIX secolo, fra cui ci limiteremo per brevità a ricordare quello di Amburgo (1842) e quello di Chicago (1871), il Ritz di Londra, Foll River, ecc..
Si cominciano a compilare programmi di prevenzione e di organizzazione antincendi e nascono i primi Corpi di Pompieri nel senso moderno, ma soprattutto si comincia a comprendere che il male deve essere attaccato alla base e che per questa, come per altre concomitanti ragioni, occorre porre ordine negli agglomerati urbani accresciuti smisuratamente e confusamente.

Nasce l'urbanistica moderna con i molteplici problemi da risolvere e si delineano in schemi e progetti le città ideali dell'età che viviamo e di quella che seguirà.

Per meglio intendere però quanto diremo in seguito e per apprezzare nel loro giusto valore le possibilità di realizzazione degli schemi ideali proposti per la migliore città, è necessario non dimenticare che nel periodo paleotecnico avvenne quella rivoluzione che portò a conclusione, in maniera rapida, quanto in forma latente già avveniva fin dal precedente periodo eotecnico e cioè il passaggio da una civiltà artigiana ad una civiltà industriale macchinista.

Parallelamente si verificò anche un grande fenomeno, il fenomeno dell’urbanesimo, per cui masse ingenti di persone abbandonarono la campagna per trasferirsi in città, seguendo il miraggio di una vita migliore ed in vista di un’occupazione più redditizia dell’agricoltura.
Sotto la spinta di questo fenomeno le città si ingigantirono in maniera rapida e caoticae l'inurbamento di sempre nuove masse in arrivo creò problemi di traffico, di igiene e di edilizia, mai visti prima.
Sociologi, igienisti, politici ed amministratori, dopo seri studi ed accurate indagini poterono denunciare i mali generati dal fenomeno, mentre le statistiche sulla morbilità, mortalità ed accrescimento della popolazione rendevano palese il dramma che l'umanità infebbrata viveva.
Ad evitare la catastrofe furono suggeriti provvedimenti repressivi o limitativi del fenomeno e si invocò a gran voce il disurbanamento delle metropoli, affermando che megalopoli equivaleva a necropoli.

Gli urbanisti però, pur non discordando con gli altri tecnici e con i sociologi, né minimizzando l'importanza dell'allarme da più parti dato, si diedero a studiare i mali con l'intento di trovare il rimedio per risanare gli organismi cittadini esistenti ed ammalati e poi si preoccuparono di dettare nuove norme preventive atte a vietare nei nuovi centri il ripetersi del danno.

Azione dunque repressiva e preventiva insieme come quella che di solito svolgono nei riguardi dell'incendio e di altri pericoli le organizzazioni pompieristiche.

Il servizio antincendio, così come l'urbanistica, con la triplice azione di ricerca scientifica, prevenzione e repressione cerca di riportare la città moderna alla giusta espressione e di farla rimanere quale l'ha definita il Mumford: "Il punto di massima concentrazione del potere e della cultura di una comunità; il posto dove i raggi diffuse di molte e svariate sorgenti di vita convergono come in un unico foco, guadagnando sia in efficienza che in importanza sociale. La città è la forma ed il simbolo di una relazione sociale integrata. È la sede del tempio, del mercato, del palazzo di giustizia, dell'accademia del sapere. Qui nella città i beni della civiltà aumentano e si moltiplicano: è qui che l'esperienza umana si trasforma in concreti segni, simboli, schemi di condotta, sistemi di ordine. È qui che i risultati delle civiltà convergono; è qui che il rituale passa in determinate occasioni nel dramma attivo di una società pienamente differenziata e cosciente".

 

Bibliografia

  • I. Tiezzi, Venti secoli di testimonianze antincendio, Bologna 1999.
  • N. Colangelo, Oltre il fuoco. Storia dei Vigili del Fuoco, della loro tecnica e delle loro imprese, Mantova 1991.
  • M. Sforza, Pompieri. Cinque secoli di storia di un’antica istituzione, Torino 1992.
  • L. Abate, a cura di, Roma città del fuoco, Roma 2002.
  • M. Cavriani, P. Cimbolli Spagnesi, Il Corpo Nazionale Italiano dei Vigili del Fuoco: storia, architetture e tipi di intervento al tempo della sua costituzione (1900-1945), Roma 2013.
  • Vigili del Fuoco, storia, interventi, mezzi, 2008.
  • L'uomo, la città ed il fuoco, ing. Domenico Andriello, in Antincendio, (V) 2, febbraio 1953, pp. 97-100.