Architettura e arte del museo storico di Roma a Ostiense

L'edificio di via Marmorata, realizzato nel 1928 su progetto dell'architetto Vincenzo Fasolo, uno dei principali allievi e collaboratori di Marcello Piacentini, rappresenta un classico esempio di quella "Scuola Romana" di architettura che per oltre un cinquantennio ha caratterizzato il volto della Capitale.
Gli elementi formali di tale scuola, l'impiego di materiali da costruzione autoctoni e della tradizione romana, quali il tufo, il travertino, il mattone, l’indulgere ad elementi decorativi, l’uso del bugnato, di intonaci pozzolanici e la predilezione per il colore bianco e giallo ocra, sono stati, nel recente passato, oggetto di feroci critiche da parte della critica specialistica; si è anche coniato l’epiteto riduttivo e dispregiativo di "Barocchetto" per etichettare le esperienze dei vari rappresentanti di tutta la tendenza, contrapponendola a quella dei più giovani architetti del M.I.A.R. (Movimento Italiano Architetti Razionalisti) e del Gruppo Sette, che si ispiravano alle tendenze d'oltralpe dei vari Le Corbusier, Gropius, Mies Van Der Rohe, maestri riconosciuti, appunto, del Movimento Razionalista.

Oggi, che la mancanza di ricercatezza estetica delle nuove costruzioni, dilagata dal dopoguerra, ha fatto toccare con mano la sostanziale pretestuosità di tale posizione, si tende ad una più matura riflessione sulla storia della nostra architettura ed anche ad un certo ripensamento sugli elementi formali ed anche morfologici e strutturali delle esperienze, di tutte le esperienze – si è rivalutata ad esempio la figura di Giovannoni autore di insigni opere a cavallo tra ‘800 e ‘900 e geniale teorico del "Diradamento" urbano – stati constatati la correttezza tecnica di piani urbanistici come quello del Piano Regolatore di Roma del 1909, consegnati alla memoria della grande artisticità progettisti come Basile, Sommaruga, D'Aronco e perfino ammesse alla genialità, esperienze come quella di Gino Coppedè.
Ed ancora, la revisione, il ripensamento è arrivato a toccare l’architettura del periodo fascista, nel quale a tutti gli effetti rientra la nostra costruzione, per scoprire magari che non tutto è da buttare: le grandi bonifiche dell’Agro Pontino effettuate dai tecnici dell’Opera Nazionale per i Combattenti (O.N.C.) con costruzioni di Borghi e Città, del Lago Patria e Licola fino alle porte di Roma, i Piani di Sabaudia, di Littoria, e in Roma città, veri e propri quartieri modello come San saba, la Garbatella, il Delle Vittorie.

Se facciamo ritorno all’edificio di via Marmorata, canonico esempio, come si è detto, della Scuola Romana, possiamo anche scoprirne elementi di raccordo con le più avanzate tendenze architettoniche e non necessariamente di scontro: l’impiego del cemento armato per la realizzazione della grande terrazza semicircolare ne è probabilmente l’elemento più informante, ma anche il trattamento dei prospetti con la sapiente modulazione di parti in bugnato di tufo, i basamenti in lastre di travertino e le intonacature, manifestano una volontà di mediazione, che tralascia la decoratività a tutto favore di una lettura immediata, gradevole, accattivante.

Superfluo sottolineare che tale proposito di mediazione è stato fatto salvo ed anzi ha costituito il motivo conduttore dell’intervento di realizzazione del museo: così si è scelto di articolare, nei vari ambienti, zone a rustico con zone intonacate, rivalutare il movimento delle volte, previa rimozione delle condutture degli impianti che ne interrompevano la sequenzialità, allocandone la posizione in un apposito cavedio realizzato al di sotto del piano di calpestio e ricoperto con doghe di legno su sottostante struttura in ferro modulare per consentirne un’agevole ispezione.
Si è infine effettuata una accurata prova stratigrafica sulle cromie del complesso per restituire nella parte destinata all’ingresso del museo la sua originale figurazione compositiva.