I vigili del fuoco e la Seconda guerra mondiale

 

Introduzione

Durante gli anni della Seconda guerra mondiale i vigili del fuoco di tutta Italia furono impegnati in maniera eccezionale per prestare aiuto alla popolazione che subiva inerme le continue incursioni aeree alleate.
Si trattò di migliaia e migliaia di interventi, che gli uomini del neonato Corpo nazionale effettuarono spesso sotto il lancio incessante delle bombe e il tiro delle mitragliatrici, senza curarsi del rischio che correvano e a volte vittime loro stessi degli ordigni e dei crolli da essi provocati.
Tra le squadre che nell'occasione si distinsero maggiormente figurano le Celeri e le Centurie dell'ex battaglione speciale Santa Barbara, istituite appositamente per una più rapida risposta alle situazioni di estrema emergenza che venivano a crearsi nel corso degli attacchi nemici dal cielo.
Non vanno inoltre dimenticati i membri dell'UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), che lavorarono molto spesso fianco a fianco con i vigili del fuoco nella comune opera di soccorso a quanti erano sottoposti ai bombardamenti.
Anche le squadre dei Cinofili vennero spesso utilizzate per individuare le persone in vita rimaste intrappolate sotto le macerie dei palazzi crollati.
I turni, dato il momento tragico, erano costituiti talvolta da molte ore di servizio consecutive, ma fortunatamente oltre ai vigili professionisti furono richiamati e prestarono la loro opera anche molti volontari, che diedero un valido aiuto ai colleghi permanenti.
Lo spirito di sacrificio dei vigili del fuoco, unito alla professionalità, ai numerosi atti di eroismo e agli slanci umanitari, valsero al Corpo il rispetto e l'ammirazione di tutta la popolazione, duramente messa alla prova dalle privazioni subite durante il conflitto e segnata dai lutti che quasi ogni famiglia lamentò.

 

I bombardamenti nelle principali città italiane e gli interventi dei vigili del fuoco

Di Alessandro Fiorillo

La fase più cruenta dei bombardamenti durò dall'autunno del 1942 all'estate del 1943; in seguito le incursioni continuarono, pur attenuandosi, fino al 1945.
Tra le città maggiormente colpite figurarono Napoli, Torino, Milano e Genova, ma anche Roma, Bologna, Firenze, Palermo, Bari, Messina, Taranto, Cagliari e numerosissime altre città.
A Foggia in particolare vi furono oltre 20.000 vittime.
Ciò spiega perché durante tutto il periodo 1940-1945 i vigili del fuoco di tutt'Italia furono impegnati in maniera eccezionale per prestare la loro opera e soccorrere la popolazione vittima delle continue incursioni alleate: migliaia di interventi eseguiti spesso anche nel corso dei bombardamenti stessi e durante mitragliamenti aerei, a prescindere dai rischi e con i vigili medesimi alcune volte vittime loro stessi di esplosioni e crolli.
Soprattutto nelle città più grandi, a lato delle caserme principali furono creati anche distaccamenti di guerra provvisori dove fu alloggiato il personale di rinforzo proveniente da località meno coinvolte nelle operazioni di guerra.
In tutto questo, a fianco dei vigili del fuoco furono gli uomini dell'UNPA, l'Unione Nazionale Protezione Antiaerea che fu istituita nel 1934 sotto la vigilanza del Ministero della Guerra (nel 1941 passò alla diretta dipendenza del Ministero dell'Interno).
Data l'eccezionalità del momento, i turni di servizio erano talvolta anche di molte ore di seguito.
A fianco del personale in servizio permanente effettivo furono richiamati anche molti volontari che prestarono la loro preziosa opera dando manforte ai colleghi permanenti.
Quanto ai tipi di intervento eseguiti nell'intero lasso temporale del conflitto soprattutto in alcune delle città più colpite dai bombardamenti, si deve prestare attenzione particolare non solo agli interventi relativi ai danni verificatisi tra le civili abitazioni, in molti casi comunque vasti e importanti, ma anche a quelli che riguardarono le strutture industriali e produttive.
In relazione a queste ultime, vale quindi la pena ricordare che fu soprattutto a Milano e Torino che i vigili del fuoco furono costretti ad intervenire, in particolare allo stabilimento del Lingotto della fiat nel capoluogo piemontese (dopo il bombardamento del 29 marzo 1944), e in diversi insediamenti produttivi in quello lombardo (nel bombardamento del 14 febbraio 1943 furono colpiti gli stabilimenti dell'Isotta Fraschini, l'Alfa Romeo, la Breda, la Salmoiraghi, la Philips, la Stigler e altre industrie minori).
A Genova, Palermo, Napoli, Bari, Civitavecchia, Livorno, Messina e Taranto furono soprattutto le infrastrutture portuali a essere danneggiate pesantemente.
Nella capitale del regno, a Roma, diverse incursioni presero di mira gli aeroporti di Ciampino, del Littorio, e il grande scalo merci ferroviario nelle vicinanze del quartiere San Lorenzo.
Nelle Puglie, sempre a Foggia, oltre alla città vera e propria furono colpiti duramente gli aeroporti e lo scalo ferroviario.

Torino

La prima città italiana a essere bombardata, appena due giorni dopo l'entrata in guerra, fu Torino.
La notte tra l'11 e il 12 giugno 1940 trentasei aerei britannici Whitley decollarono dalle loro basi nello Yorkshire caricati con bombe da 500 libbre; intorno alle ore 1:30, dodici di loro colpirono il quartiere a ridosso di Porta Palazzo, tra via Priocca e largo XI Febbraio.
I morti furono diciotto, i feriti trentanove: un bilancio miracolosamente contenuto perché non esplose il gasometro in largo XI Febbraio.
Nel corso dell'azione fu mancato clamorosamente uno dei principali obiettivi sensibili del momento: l'insieme degli stabilimenti della fiat.
Tutto il primo ciclo di bombardamenti sulla città durò fino al 25 ottobre 1942: in totale quattordici incursioni, con le più gravi il 14 agosto, il 6 settembre, il 9 novembre e il 5 dicembre 1940.
Nel corso di questi primi bombardamenti, effettuati con ordigni di piccolo-medio calibro, le perdite furono relativamente modeste, nel complesso trentanove morti e 105 feriti.
Nel ciclo successivo, iniziato a novembre 1942 e terminato alla fine dell'estate 1943, le perdite e le distruzioni furono molto maggiori.
La città fu colpita tredici volte (sette volte soltanto tra novembre e dicembre 1942), con ordigni molto più grandi, da 4000 e 8000 libbre.
Il bombardamento di gran lunga più distruttivo fu quello del 13 luglio 1943, quando oltre 250 velivoli britannici Lancaster decollati dalle basi del sud della Gran Bretagna sganciarono 413 bombe e alcune decine di migliaia di ordigni incendiari.
Gli aerei si soffermarono su Torino per ben settanta minuti, e in totale l'azione provocò 792 morti e 914 feriti.
Gli incendi divamparono a centinaia e proseguirono per diversi giorni, impegnando a fondo i vigili del fuoco che arrivarono anche da Vercelli, Alessandria, Novara, Asti, Cuneo e Aosta.
Gli interventi di soccorso effettuati furono circa 1100.
Le incursioni sulla città proseguirono fino al 5 aprile 1945, e a conclusione della guerra Torino contò in tutto 2069 morti e 2695 feriti, con il quaranta per cento delle abitazioni distrutte o gravemente danneggiate.
Le industrie e i complessi produttivi distrutti o danneggiati furono 1018, i locali con attività commerciali distrutti o danneggiati furono 10.424 su un totale di 29.016.
Dei 2154 aerei succedutisi sui cieli della città ne furono abbattuti solo quindici.

Milano

Durante la guerra, Milano fu considerata da subito un obiettivo militare importante perché era la città industriale più sviluppata d'Italia, e uno dei principali snodi ferroviari del paese con le sue ventuno linee rotabili, gli scali merci e con una stazione centrale allora fra le più grandi d'Europa.
Il primo attacco aereo colpì il capoluogo lombardo nella notte tra 15 e 16 giugno 1940, dopo soli cinque giorni dall'entrata in guerra del paese.
Altre incursioni seguirono a giugno, agosto e dicembre.
Una seconda ondata di attacchi fu a ottobre 1942, ma la fase più cruenta iniziò a febbraio 1943.
Nella notte tra 13 e 14 febbraio, un bombardamento particolarmente violento provocò molte distruzioni, sia all'edilizia civile sia alle attività produttive, e causò 133 morti e 422 feriti.
Gli incendi furono numerosi e in più punti della città, tanto che dovettero intervenire anche i vigili del fuoco di Bologna e di altre province lombarde.
Nella notte tra 7 e 8 agosto successivi un altro attacco dall'aria causò la distruzione di 600 edifici, sotto le cui macerie rimasero 161 morti e 281 feriti.
Alla fine di marzo del 1944, Milano - allora controllata dai tedeschi - fu colpita da una nuova ondata di bombardamenti.
L'attacco più drammatico fu quello del 20 ottobre successivo, quando fu devastata la scuola elementare di Gorla: quell'occasione morirono circa duecento bambini, ai quali si aggiunsero altre centinaia di abitanti dei quartieri vicini.
Altre incursioni seguirono nei primi mesi del 1945; le ultime furono quindi il 12 e il 13 aprile.
I sessanta bombardamenti aerei che colpirono Milano durante tutto il conflitto provocarono nel complesso tra 1200 e 2000 vittime, e dalle esplosioni dirette o dagli incendi che ne derivarono fu distrutto circa un terzo di tutti gli edifici della città.
Anche qui come altrove, i vigili del fuoco e gli uomini dell'UNPA si distinsero per la loro azione instancabile e per il soccorso prestato ovunque alla popolazione e senza mai risparmiarsi, operando spesso tra le macerie e impegnandosi allo spasimo nello spegnimento dei tanti roghi che divampavano.

Genova

Anche l'altro centro urbano significativo del triangolo industriale del nord del paese subì bombardamenti gravi (l'ultimo ebbe luogo addirittura il 25 aprile 1945).
Come Torino e Milano, anche Genova fu infatti tra le prime città italiane a subire attacchi diretti, che in questo caso arrivarono sia dal cielo sia dal mare.
Il 14 giugno 1940 i vigili del fuoco genovesi intervennero a Voltri e a Sestri, e nelle prime ore del 15 giugno si recarono presso lo stabilimento della società Ansaldo, che era già stato obiettivo delle prime incursioni del giorno precedente.
All'alba del 14 giugno 1940 le forze navali alleate colpirono anche Savona e le cittadine contigue di Vado Ligure e Albissola.
Furono presi di mira soprattutto impianti industriali e depositi di carburante.
I locali vigili del fuoco effettuarono in tutto quindici interventi; i più importanti furono al deposito di prodotti petroliferi agip e presso i depositi della Società italo-americana per il petrolio.
Molto pesante fu poi l'attacco navale che Genova subì il 9 febbraio 1941, per il quale i vigili del fuoco svolsero ben 157 interventi in un giorno solo, per crolli, rimozioni di macerie, incendi, salvataggi e recupero di salme.
Il 29 settembre 1941, nel corso di un ulteriore violento bombardamento, fu colpito da una grossa scheggia di bomba anche un automezzo dei vigili del fuoco: per il vigile Alfredo Barruzzo non ci fu scampo, mentre gli altri quattro colleghi con lui sul veicolo rimasero gravemente feriti.
In seguito, furono sempre molto pesanti i bombardamenti che la città ligure subì anche nel 1942, in particolare nel periodo compreso tra 22 ottobre e 15 novembre.
I vigili del fuoco del locale 36o corpo, opportunamente rinforzati da nuclei di altre province, fino all'1 dicembre svolsero addirittura 1512 interventi per spegnimento d'incendio, 105 per crolli e 167 per demolizione di edifici pericolanti, e recuperarono 158 salme dalle macerie.
Nel corso di questa enorme mole di lavoro, altri due vigili del fuoco persero la vita e 41 rimasero feriti in maniera più o meno grave.

Napoli

La città partenopea fu uno dei centri urbani più colpiti in assoluto dalle incursioni aeree, con oltre cento bombardamenti che iniziarono il 1 novembre del 1940 e si protrassero fino a metà 1944.
Il 28 aprile 1941 la squadra di vigili del fuoco in servizio al porto soffocò sul nascere un incendio sviluppatosi a bordo del piroscafo Barbarico, carico di materiale bellico ed esplosivi.
Nonostante una serie di esplosioni già in corso, i vigili salirono a bordo della nave e attaccarono il fuoco nella stiva di poppa circoscrivendolo in tempi rapidi.
In seguito, nella notte tra 10 e 11 luglio, un violento attacco aereo fu diretto contro la zona industriale.
Un incendio vasto, scoppiato presso un deposito di prodotti petroliferi, aveva attaccato molti fusti di benzina e un treno anch'esso carico di fusti di liquido infiammabile.
Sul posto furono concentrati tutti i mezzi dei vigili del fuoco disponibili in città e nella provincia, sopraggiunsero anche diverse squadre dei corpi di Littoria (Latina) e Avellino (in tutto ventuno macchine e 172 uomini) e arrivò da Roma perfino il Direttore Generale dei Servizi Antincendi, il prefetto Alberto Giombini.
Nell'ambito della stessa incursione un altro gravissimo incendio coinvolse un treno carico di munizioni nel parco ferroviario di Poggioreale.
Le squadre di vigili accorse operarono sotto una pioggia di schegge, rottami e tronchi d'albero divelti dalle esplosioni che si susseguivano continuamente.
La notte tra 20 e 21 luglio 1941 un ennesimo attacco provocò molti incendi e di nuovo una grande mole di lavoro per i vigili del fuoco.
Particolarmente grave fu la situazione presso la stazione centrale, dove divamparono contemporaneamente circa cinquanta focolai.
I vigili accorsero sul posto con sei autopompe, sei autobotti e otto squadre.
Dopo questo bombardamento, lungo i marciapiedi e le strade della città i cittadini di Napoli trovarono numerosi volantini con queste parole: "Napoletani! Noi inglesi, che mai finora fummo in guerra contro di voi, vi mandiamo questo messaggio. Questa notte abbiamo bombardato Napoli. Non volevamo bombardare voi cittadini napoletani perché non siamo in lite con voi. Noi vogliamo soltanto la pace con voi. Ma siamo stati costretti a bombardare la vostra città perché voi permettete ai tedeschi di servirsi del vostro porto".
Una settimana dopo, il 27 luglio 1941, le bombe caddero anche a Borgo Loreto e all'interno del porto.
In quel giorno tragico morirono anche due vigili del fuoco: Siro Rossi di Pavia di trentasei anni, e il brigadiere Marco Giaccio di quarantaquattro anni.
Erano di servizio nella zona del porto, quando furono avvertiti che in fondo alla testata di un molo era in fiamme una nave.
Indossati gli autoprotettori, erano saliti sull'autopompa e si erano avviati nella fitta nebbia artificiale che ricopriva la zona, procedendo a stento e consapevoli del grande pericolo che correvano.
Nel tentativo di raggiungere la nave, erano caduti in mare con l'autopompa a causa della scarsa visibilità ed erano stati trascinati sul fondo dall'automezzo.
A seguire, il 21 e il 22 ottobre vi fu un nuovo attacco contro la zona industriale che costrinse il locale corpo dei vigili a entrare in azione con quindici autopompe (di cui dodici con serbatoio), quattordici autocarri con motopompe, dodici autocarri celeri con motopompe, due carri attrezzi e un'autoambulanza.
Tra gli incendi più impegnativi, vi fu quello al deposito di carburanti agip dove bruciarono completamente quattro dei tredici serbatoi costituenti l'intero parco.
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1941 gli aerei alleati bombardarono la città per più di sette ore consecutive.
L'opera dei vigili del fuoco si svolse sotto il continuo scoppio delle bombe e una pioggia incessante di schegge e proiettili, che nei pressi della stazione centrale perforarono anche le manichette che lanciavano acqua sugli incendi.
Altri gravi bombardamenti, che provocarono numerose vittime e molte distruzioni, avvennero la notte tra 11 e 12 novembre e la sera del 27 novembre 1941.
Molto gravi furono le conseguenze dei violenti bombardamenti che colpirono Napoli tra 5 e 7 dicembre 1941.
Anche nel corso del 1942 le bombe continuarono a cadere; il 4 dicembre in particolare un grosso ordigno cadde addirittura a meno di duecento metri dalla caserma centrale dei vigili del fuoco, dove si stava celebrando la festa di Santa Barbara.
Le incursioni continuarono quindi per tutto il 1943 (e persino nei giorni 6 e 8 settembre, ad armistizio già firmato con gli alleati) e in seguito nel 1944, anche se allora da parte dell'aviazione tedesca (la più violenta incursione aerea tedesca fu quella che della notte tra 14 e 15 marzo 1944, che provocò circa trecento morti).
In memoria di tutto questo, vale la pena riportare due testimonianze di natura molto diversa tra loro. La prima è di Aldo De Gioia, che nel suo Frammenti di Napoli ha celebrato l'opera dei vigili del fuoco napoletani in queste occasioni con queste parole:
"I napoletani con gratitudine, li soprannominarono ’e cape ’e fierro per il caratteristico copricapo di metallo brunito. Il loro quartier generale fu nella città antica, nella zona dei tribunali, in via del Sole, da dove si spostavano le squadre di soccorso per raggiungere i presidi periferici appena avvistati gli apparecchi nemici. Nel vederli partire il popolo, accorgendosi dell'imminente pericolo, si metteva in movimento urlando: ‘Fujte, s’o’ asciute ’e cape e fierro! e di lì a poco succedeva l'inferno.".
La seconda è del vigile Gualtiero Sensi che, in un memoriale scritto nel 1947 e indirizzato al suo comandante di Perugia, scrisse così a proposito del suo periodo di servizio a Napoli:
"Dopo un primo periodo di stanza a Perugia, il 1o febbraio del '41 fui dislocato a Napoli da dove tornai il 1o agosto dopo sei mesi consecutivi. Rimasi a Perugia altri sei mesi e poi ripartii di nuovo per Napoli i primi di febbraio del '42. Durante questo periodo furono intensificati i bombardamenti della città e spesso dovevamo accorrere anche sotto le bombe a prestare opera di salvataggio. Però pericolo più grave lo subimmo quando venne bombardato il quartiere della Renaccia di grande traffico ferroviario, poiché qualche bomba cadde anche sullo Stadio Partenopeo, dove eravamo accasermati, sballottandoci da una parete all'altra del locale dove stavamo rinchiusi. Inoltre terminata l'incursione trovammo tutte le nostre robe fra le macerie e dovemmo trasferirci alla Caserma Vittoria".

Palermo

Il capoluogo siciliano non ebbe sorte migliore rispetto alle altre grandi città italiane, e subì anch'esso violenti bombardamenti che provocarono danni e vittime.
Il 23 giugno 1940 gli aerei alleati bombardarono la città in due ondate successive, una alle ore 18:20 l'altra un'ora dopo.
Le circa trecento bombe sganciate, tra incendiarie e dirompenti, colpirono principalmente la zona del porto.
Quel giorno i vigili compirono complessivamente cinquantatré interventi, per la massima parte tra le bombe che cadevano e il fuoco dell'artiglieria contraerea.
Un'altra grave incursione ci fu nelle prime ore del 18 luglio 1941, quando fu di nuovo colpita la zona del porto.
Il 7 e l'8 settembre 1941 parecchie centinaia di spezzoni incendiari caddero sulla città.
Malgrado l'incessante serie di esplosioni, i vigili del fuoco accorsero in circa duecento punti diversi.
In questa occasione il popolare rione del Borgo fu quasi completamente distrutto, crollarono edifici interi e i vigili stessi ebbero non poche difficoltà a intervenire per le macerie che avevano completamente ostruito le strade con l'impedire il transito degli automezzi.
Ciò nonostante, essi riuscirono a estrarre vive dalle macerie ventuno persone, e a recuperare le salme di cinquantadue vittime.
Nella notte tra 31 ottobre e 1 novembre 1941 un nuovo intenso bombardamento provocò ancora molti danni, soprattutto agli stabilimenti industriali.
Uno degli attacchi più violenti fu quello che colpì tra le ore 22:29 del 2 e le 4:45 del 3 marzo 1942, quando gli aerei alleati lanciarono numerose bombe dirompenti di grosso calibro.
Fu colpita ancora una volta la zona del porto e quel giorno i vigili del fuoco compirono ben 147 interventi.
L'incendio più grave fu quello che si sviluppò sul piroscafo tedesco Cuma, carico di esplosivi e lubrificanti.
Inizialmente i vigili tentarono di fronteggiarlo, ma in un secondo tempo le autorità che sovraintendevano all'emergenza ordinarono loro di allontanarsi, visto il pericolo grave e soprattutto considerata l'impossibilità di riuscire a spegnere un fuoco di proporzioni così importanti quali erano quelle che si erano sviluppate.
La decisione fu provvidenziale perché di lì a poco il piroscafo esplose.
Il 9 maggio del 1943 vi fu il bombardamento più grave, che provocò più di 1500 morti e 2700 feriti.

Bari

Il capoluogo pugliese fu colpito a più riprese, in particolare anch'esso nella zona del porto.
A seguito di un bombardamento, il 15 novembre 1940 un incendio scoppiava nello stabilimento dell'anic.
Il fuoco fu attaccato prontamente dai vigili accorsi con potenti getti di liquido schiumogeno e fu domato rapidamente nell’arco di un'ora.
Durante il fatto perdeva la vita il capo squadra dei vigili dello stabilimento, Domenico Triggiani, già vice brigadiere del corpo dei vigili del fuoco di Bari.
Il 24 ottobre 1941 la locale Capitaneria di porto comunicava di predisporre il servizio di spegnimento incendio per il piroscafo Padema, colpito da un sottomarino nei pressi della costa della città.
Trainato in porto e fermato in rada, veniva affiancato dalla motobarca-pompa dei vigili che iniziava l'opera di spegnimento protrattasi fino alle ore 12:00 del 27 ottobre.
Il bombardamento più drammatico, dopo l'armistizio e quindi per opera dell'aviazione tedesca, colpì la città (in particolare sempre il porto) il 2 dicembre 1943.
Furono affondate diciassette navi, rimasero ferite 800 persone, e morirono circa 1000 militari fra americani e inglesi.
Inoltre, 628 persone (sessantanove delle quali morirono in seguito) furono ustionate dagli effetti tossici di un potente gas, l'iprite, immagazzinato nelle stive di una delle navi alleate alla fonda nel porto, nonostante il suo uso bellico fosse vietato dalla convenzione di Ginevra del 1925.
Per l'occasione anche le stesse acque del porto furono contaminate e nel corso delle operazioni di soccorso si distinse in maniera particolare il vigile Filippo Mola del corpo di Bari.

Venezia

Anche la città lagunare non fu risparmiata.
Nella notte tra 13 e 14 giugno 1940 gli aerei alleati colpirono lo stabilimento della società Liquigas a Porto Marghera, causando un incendio molto vasto.
I vigili accorsero sul posto con le due squadre di Mestre, due squadre provenienti dalla caserma centrale e altre tre squadre successive.
I focolai di questo incendio furono molti: una bomba cadde sul reparto riempimento fusti e due sui reparti butano e propano; spezzoni incendiari fecero sviluppare il fuoco anche all'impianto di distillazione dello stabilimento e a una colonna fila di vagoni carichi di materiale.
I vigili del fuoco, mentre continuava il bombardamento e tutto l'impianto minacciava di esplodere, attaccarono il fuoco da tutte le parti, e provvidero a raffreddare i serbatoi e i gasometri rimasti intatti.
Un ufficiale e due vigili, introdottisi nel reparto distillazione, riuscirono ad arrestare i compressori, ma l'incendio fu domato solo dopo diverse.
Il 12 e il 13 gennaio 1941 una violenta incursione colpì nuovamente la città, in particolare la zona industriale.
Il primo a essere danneggiato fu lo stabilimento della società Vetrocoke, nel reparto distillazione catrame.
Una bomba provocò la rottura di tubazioni di gas, generandone l'accensione, ma i vigili accorsi sul posto riuscirono rapidamente a domare le fiamme.
Intanto un secondo gruppo di velivoli sganciò altre bombe sui depositi di prodotti petroliferi della società Nafta e colpì in pieno un serbatoio di olio lubrificante che esplose.
Mentre i vigili accorrevano sul posto, una bomba cadde sulla strada ad appena settanta metri di distanza dall'autopompa, che con le ruote anteriori cadeva dentro il cratere provocato dall'esplosione.
Ciò nonostante, i vigili riuscirono a raggiungere lo stesso il luogo dell'incendio e a iniziare le manovre di spegnimento, che furono espletate in un tempo breve.
Interventi di minore importanza furono compiuti anche alla raffineria agip e in diversi luoghi di Mestre dov'erano caduti spezzoni incendiari.
Una squadra di vigili con una motobarca-pompa aveva intanto salvato e fatto prigionieri i sei componenti di un aereo nemico abbattuto dalla contraerea.

Foggia

Foggia è stata una delle città italiane più colpite dai bombardamenti alleati durante la seconda guerra mondiale.
Tra 28 maggio e 18 settembre del 1943 una quantità impressionante di ordigni vi seminò infatti morte e distruzione.
Il 22 novembre del 1959, il presidente del consiglio di allora Antonio Segni consegnò al comune di Foggia la medaglia d'oro al valor civile.
Il 25 aprile del 2007, in occasione della cerimonia di onori ai caduti presso l'Altare della patria a Roma, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha consegnato alla città la medaglia d'oro al valor militare.
Durante la seconda guerra mondiale Foggia era un centro di grande rilevanza strategica, per la presenza di numerosi obiettivi sensibili: fra questi, una trentina di aeroporti che ospitavano velivoli italiani e tedeschi, un importante scalo ferroviario e una fabbrica di armi chimiche.
Il 28 maggio del 1943 ci fu la prima incursione dal cielo sull'aeroporto Gino Lisa, che provocò la distruzione di numerosi velivoli della Luftwaffe tedesca.
Il 22 luglio fu la volta di un bombardamento pesante, che provocò 7643 morti e oltre 700 feriti.
In quello stesso giorno, nella stazione ferroviaria cittadina morirono oltre 2000 persone, stipate nei sottopassaggi per proteggersi dalle distruzioni.
A provocare la tragedia fu l'esplosione di alcuni vagoni serbatoio che facevano parte di un treno in sosta che trasportava carburante.
Migliaia di litri di benzina in fiamme si riversarono nei rifugi di fortuna, non lasciando alcuno scampo a quanti vi avevano cercato riparo.
I vigili del fuoco impiegarono ben quindici giorni per domare tutto il fuoco.
Meno di un mese dopo, il 19 agosto, Foggia subì un altro violento attacco dall'aria, che provocò 9851 morti; quel giorno venne colpita dalle bombe anche la caserma dei vigili del fuoco, fortunatamente vuota perché era stata fatta evacuare qualche giorno prima dal prefetto locale.
A guerra conclusa, la città pugliese contò 20.298 vittime.
Dai dati in possesso del locale comando dei vigili del fuoco, risultò che era stata distrutta il settantasei per cento dell'intera superficie edificata della città.
Come testimonia ancora oggi una relazione anonima di quei fatti, stesa poco dopo gli avvenimenti, in occasione degli eventi bellici dell'estate 1943 tutto il personale del corpo "[] seppe dare sublime testimonianza di coraggio e di altruismo allorché, con spregio del gravissimo pericolo della vita in atto, suoi figli civili e militarizzati seppero, tra immani difficoltà, impedire che i rovinosi incendi fossero portati a conseguenze più gravi e le vittime moltiplicassero, prodigandosi, mentre gli spezzoni venivano ancora furiosamente lanciati, oltre che nei soccorsi, nel sottrarre con lucida e provvida determinazione a ulteriori deflagrazioni e distruzione i convogli ferroviari carichi di munizioni".
Durante uno dei più pesanti di questi bombardamenti, persero la vita i vigili del fuoco Francesco Paolo Colicchio e Attilio Rinaldo nel tentativo di allontanare alcuni carri ferroviari carichi di munizioni da una ferro-cisterna di carburante in fiamme.
Quando l'opera era quasi compiuta, una grande esplosione aveva coinvolto i due provocandone la morte.

 

I bombardamenti a Roma e l'organizzazione del soccorso pubblico nella capitale

Vediamo ora nel dettaglio la ricostruzione relativa all'organizzazione del soccorso pubblico nella capitale durante gli anni delle Seconda guerra mondiale, e i bombardamenti che hanno colpito la città.

Le squadre celeri del corpo di Roma

In una testimonianza orale del 2007 il vigile del fuoco in pensione Roberto Donnini, che prestò servizio nelle Squadre Celeri del corpo di Roma, raccontò che ancora nel 1943 in città erano in servizio due di queste squadre che alloggiavano nella caserma centrale in via Genova ed erano note con il nomignolo di gatti neri.
Nell'intervista, che fu realizzata il 15 aprile 2007 dall'autore di questo articolo e dai capi reparto Claudio Gioacchini e Roberto Diottasi del Comando dei vigili del fuoco di Roma, Donnini ricordava che il nome derivava dalla mascotte del gruppo, un gatto nero, che aveva ispirato il motto dipinto allora sulla parete di una camerata della caserma: "Mentre la città dorme i gatti neri vegliano!".
Ad aprile 1941, su disposizione del Comandante di Roma, l'ing. Moscato, in accordo con il prefetto Giombini fu distaccata una squadra celere presso l'Altare della patria a presidio del vicino palazzo Venezia e a disposizione del capo del governo.
Donnini ricordò anche che nella sede Centrale di Roma erano in servizio sei macchine di partenza: le due squadre celeri in questione, due autopompe e due autoscale (una da trenta metri e una da quarantaquattro metri di sviluppo, chiamata lo scalone).
Le Squadre Celeri, dirette e coordinate dall'ufficiale geometra Alberto Cosimini, erano composte da quattro persone: un autista, un capoposto e due vigili (tra i quali c'era sempre almeno un idraulico, un elettricista e un muratore).
Il personale dormiva vestito in stanze in prossimità degli automezzi, perché sia di giorno sia di notte il tempo massimo consentito tra la chiamata d'emergenza e l'uscita del personale per l'intervento non doveva superare i trenta secondi.
Le macchine in dotazione erano modello fiat 1100, allestite con due piccole scale italiane, una motopompa, manichette, lance e chiavi idrante.
Il 19 luglio 1943, durante il primo bombardamento di Roma, gli interventi che queste squadre eseguirono furono numerosi; e così in occasione di quelli successivi.
Nel complesso, il loro servizio durò fino a quando - anche dopo l'8 settembre 1943 - gli automezzi restarono in efficienza; dopo di che, tra un incursione e l'altra, gli incidenti e la mancanza di pezzi di ricambio provocarono di fatto la messa fuori servizio di tutti gli automezzi disponibili.

La scuola di addestramento di Acilia

In una testimonianza orale di qualche anno fa (15 ottobre 2008), l'ex vigile del fuoco Mario Bianchi raccontò che era entrato a far parte del corpo dei vigili del fuoco di Roma a 16 anni, nel maggio del 1943, come volontario.
In quegli anni la maggior parte dei maschi adulti era impegnata nei vari fronti di guerra, pertanto i vigili nel territorio metropolitano vennero assunti, o arruolati come volontari, anche tra i ragazzi: un altro vigile in servizio a Roma nel medesimo periodo, Renato Efrati, indossò la divisa nel 1941 ad appena quindici anni.
Bianchi raccontò che, una volta arruolato, fu subito trasferito ad Acilia, dove esisteva una caserma costituita da due capannoni molto grandi e da un castello di manovra per gli addestramenti, ricavati in un'ex segheria requisita dal corpo di Roma per essere adibita a scuola di addestramento.
In questa infrastruttura, dove nel territorio circostante imperversava persino la malaria, alloggiavano più di cento vigili volontari in camerate molto ampie con letti a castello a tre piani.
Non esistevano servizi igienici e la loro funzione era assolta da buche di fortuna all'esterno degli alloggi e ricoperte periodicamente.
Il vitto era costituito esclusivamente da brodo e da una piccola porzione di carne.
Di mattina gli allievi facevano istruzione militare e di pomeriggio le esercitazioni pompieristiche.
Alle ore 17:00 c'era libera uscita, ma già alle 20:00 era obbligatorio rientrare.
Gli allievi di stanza ad Acilia non partecipavano agli interventi ordinari, ma erano pronti per essere impiegati in caso di bombardamento grave o di altra grande calamità.
Mario Bianchi in particolare intervenne dopo il bombardamento di Ostia, avvenuto prima del 19 luglio 1943, e ricordava ancora molto bene quello del quartiere San Lorenzo, dove tra l'altro abitava con tutta la famiglia.
La caserma di Acilia fu requisita dai tedeschi la notte tra 9 e 10 settembre 1943, e in seguito non tornò più al corpo di Roma.

I distaccamenti di guerra

Anche a Roma, come già in altre città, furono istituiti alcuni distaccamenti di guerra in previsione dei bombardamenti, in aggiunta alle sedi normali.
Nella capitale fu inviato infatti molto personale, per lo più volontario, proveniente dai vari corpi d'Italia, alloggiato in sistemazioni provvisorie.
Si trattava, nella maggior parte dei casi, di autorimesse o locali affittati o requisiti.
In almeno un caso, come quello della caserma Collazia, i vigili vennero alloggiati persino in un convento.
Allo stato attuale delle ricerche, non essendo stato ancora possibile ricostituire l'elenco completo di questi distaccamenti, i nomi di quelli individuati con certezza sono i seguenti: Salaria, Nomentana, Monte Mario, via Latina, Collazia, Guidonia, Trionfale (la caserma Nomentana era forse in via Pola, ricavata all'interno di un villino.
Paolo Bertollini, vigile volontario dal gennaio 1942 al successivo 15 settembre, raccontò qualche anno fa al capo squadra Enrico Branchesi che la casermetta in questione era stata istituita anche per la sua vicinanza con Villa Torlonia, residenza di Mussolini).

Il primo bombardamento della capitale

Sei giorni prima della caduta del fascismo, alle ore 11:03 del 19 luglio 1943 dal cielo di Roma iniziarono a cadere le bombe.
I quartieri più colpiti dalla violenta incursione, furono quelli di San Lorenzo e Prenestino - Labicano, oltre la città universitaria, il cimitero Verano, la stazione Termini, l'aeroporto Littorio e altre zone dell'abitato.
Ai cosiddetti obiettivi sensibili si aggiunsero case, palazzi, scuole e chiese.
Dalle basi dell'Africa settentrionale, quella stessa mattina presto si erano levati in volo ben 662 bombardieri statunitensi, scortati da 268 caccia, che avevano volato a ventimila piedi di quota per evitare il fuoco della contraerea italiana (nel corso del bombardamento fu abbattuto un solo velivolo nei pressi di Pratica di Mare).
Un tentativo di contrasto dell'azione aerea alleata era stato tentato da trentotto caccia italiani, tre dei quali erano stati abbattuti.
In poco più di due ore furono quindi sganciate circa 4000 bombe, per un totale di 1060 tonnellate di esplosivo.
L'attacco aereo si era sviluppato in sei ondate successive e aveva mirato a colpire soprattutto gli scali ferroviari del Littorio e di San Lorenzo, e gli aeroporti del Littorio e di Ciampino.
Gli obiettivi principali erano infatti le infrastrutture ferroviarie e aeroportuali, necessarie per lo spostamento di truppe, merci e rifornimenti, per continuare a mettere il più possibile fuori uso le attività produttive e le reti di comunicazione del paese.
A subire gli effetti più immediati dell'incursione furono però soprattutto gli abitanti dei rioni popolari limitrofi: in via dei Marsi fu colpita la Casa dell'infanzia di Maria Montessori; a via dei Latini due palazzi furono distrutti completamente.
In via dei Marrucini una bomba penetrò fino alla cantina di un altro edificio dove si erano rifugiati in maggioranza donne e bambini: i vigili del fuoco impiegarono sei giorni per tirarne fuori i novantasette cadaveri.
Fu colpito anche l'orfanotrofio di via dei Sabelli e qui, dopo trentasei ore di duro lavoro, i vigili estrassero i corpi di settantotto bambini e sei suore.
Il pastificio Pantanella, vicino a porta Maggiore, bruciò per tre giorni; come accennato sopra, lo stesso cimitero del Verano subì grandi devastazioni e la basilica patriarcale di San Lorenzo fuori le mura, una delle sette basiliche legate al tradizionale pellegrinaggio giubilare, fu in gran parte distrutta.
Il numero complessivo delle vittime non è mai stato possibile calcolarlo con precisione e fino ad alcuni anni fa oscillava ancora tra 1500 e i 3000; i resti di alcuni dei caduti non sono mai stati ritrovati (allo stato attuale delle ricerche, le vittime ufficiali sembrerebbero ammontare a 1492. È però possibile, più verosimilmente, che esse siano state almeno oltre 1600).
Una testimonianza di dettaglio su tutto questo è fornita dalla lista degli interventi compiuti dai vigili del fuoco del corpo di Roma per il bombardamento in questione: una lista molto lunga, a testimonianza della tragicità degli eventi e dell'eccezionale mole di lavoro affrontata (il documento è conservato presso la Biblioteca tecnica della DCPST, a Roma).
Il documento riporta anche tutti gli indirizzi stradali dove furono effettuati gli interventi, con la sigla delle autovetture e delle squadre giunte sul posto.
Tra i tanti casi menzionati, vale la pena ricordare per esempio che il carro crollo della sede centrale in via Genova fu inviato presso lo Stabilimento ausiliario in via Principe Amedeo.
Poi, alla stazione di Portonaccio giunse la terza partenza Centrale, la terza partenza Salaria e l'autobotte Tuscolana.
Presso la città universitaria fu inviata la prima partenza Trionfale e all'aeroporto del Littorio una seconda partenza non meglio specificata, una autobotte Salaria e due autobotti Governatorato.
Una Isotta Fraschini fu inviata in via di Tor Pignattara, e in via Prenestina fu inviata una vettura tipo 1100 trasporto acqua potabile.
Le squadre di vigili del fuoco a sud della città nella zona dei Castelli fronteggiarono la situazione all'aeroporto di Ciampino, dove giunsero la prima partenza Marino e la prima partenza Albano, mentre alla scuola cavalleria a Tor di Quinto giunse l'autopompa 626 Trionfale.
Fu colpito anche il Centro chimico militare, forse all'interno della città universitaria, dove fu inviata la seconda squadra celere Centrale.
A largo dei Volsci giunse invece una unità Rieti, più altri uomini delle unità di Frosinone e Viterbo.
Il carro crollo con cinquanta uomini della caserma Collazia - forse sede della centuria mobile del corpo di Roma - fu impegnato nel quadrilatero compreso tra via dei Marrucini, via degli Equi, via dei Latini e piazzale Prenestino.
In chiusura del documento, è interessante l'informazione secondo cui alle ore 23:34 un altro allarme aereo determinò l'invio di nuove squadre in alcune vie delle zone già bombardate la mattina.
Come già accennato, il vigile volontario Mario Bianchi intervenne per il bombardamento di San Lorenzo insieme ad altri giovani allievi della caserma di Acilia.
Molto dopo i fatti raccontò che nella tarda mattinata del 19 luglio la caserma centrale di Roma in via Genova chiamò quella di Acilia per avvisare di prepararsi ad intervenire nei luoghi colpiti e diversi camion provenienti poco dopo da via Genova prelevarono tutti gli allievi.
Giunto sul posto, Bianchi non dimenticò mai la scena che si parò ai suoi occhi appena oltrepassato l'arco di Santa Bibiana: un edificio completamente crollato, decine di cadaveri e i binari del tram divelti.
Vennero quindi formate squadre di dieci vigili ciascuna, che entrarono subito in azione con i bombardamenti ancora in corso.
La squadra di Bianchi intervenne presso il carcere minorile, dove estrasse i corpi di diversi ragazzi, e successivamente in via dei Sardi, dove secondo alcune informazioni il crollo di un palazzo aveva seppellito tredici vigili intervenuti poco prima.
Nonostante un lungo lavoro tra le macerie, i corpi dei colleghi non furono però mai trovati.
Mario Bianchi raccontò che qualche giorno dopo l'intervento sentì dire da alcuni colleghi che i corpi di questi tredici vigili furono disseppelliti da altre squadre.
Sempre nel libro Venti angeli sopra Roma, Cesare De Simone parla di ventiquattro vigili del fuoco deceduti il 19 luglio 1943 e a pagina 275 dice testualmente:
"Ne morirono ventiquattro dei vigili del fuoco che operavano nelle zone colpite dalla grande incursione del 19 luglio 1943, dodici rimasero schiacciati da crolli improvvisi di muri pericolanti, quattro non riemersero più dalle fessure create dalle bombe, tre morirono asfissiati dalle fiamme dell'incendio del molino Pantanella, quattro furono uccisi da bombe a effetto ritardato, uno cadde da un muro per salvare una donna bloccata".
Al momento, non esiste un riscontro preciso per questi dati, né per quelli testimoniati da Bianchi; da varie ricerche in queste direzioni risulta ad oggi un solo vigile del fuoco deceduto (alcuni giorni dopo il bombardamento) per le gravi ferite riportate il 19 luglio.
Gli allievi di Acilia restarono a lavorare a San Lorenzo per tre o quattro giorni; quando smontavano dal servizio alloggiavano in un convento poco lontano e rientrati nella loro caserma ripresero i consueti addestramenti.
Altre squadre ordinarie erano intanto intervenute in via degli Ausoni, dove il crollo di un palazzo aveva provocato vittime e feriti.
Dopo dieci ore di duro lavoro, per disseppellire i corpi dalle macerie, l'insperato salvataggio di una bambina di appena due anni, rimasta sotto una porta che l'aveva protetta dal crollo dei muri, suscitò molta emozione, come si evince da questo estratto dal libro di Cesare De Simone Venti angeli sopra Roma:
"Uscì da quel buco tra le macerie un ragazzo smilzo, era un vigile del fuoco, e aveva tra le braccia mia figlia Clara di 2 anni, me la diede. Era ancora viva, io gridai di felicità e quando mi girai per abbracciarlo, e baciarlo, quel pompiere, lui era già tornato in quel buco nero a cercare altri sepolti. Non lo vidi più, lo cercai, quando finì la guerra, ma non sapevo neppure come si chiamava. Mia figlia è poi diventata una bella ragazza, si è sposata, ha avuto tre bambini e io adesso sono una nonna, anzi una bisnonna felice. E ogni tanto penso che tutta questa nostra felicità, e questa vita che abbiamo avuto non ci sarebbe stata se quel giovane vigile del fuoco, quella notte al lume di una torcia elettrica, non avesse ripescato Clara dalle viscere delle macerie".
Tra i vigili del fuoco romani in servizio il 19 luglio sotto le bombe c'era anche Sergio Del Lungo, classe 1916, che qualche anno fa, rievocando il giorno del bombardamento, raccontò durante un'altra intervista:
"A San Lorenzo fu terribile. Ero a Roma in quei giorni. Terminati i bombardamenti corremmo subito verso il quartiere distrutto. Ricordo una donna, grande e grossa, rimasta bloccata sopra le macerie di un palazzo. Non poteva più scendere perché le scale erano completamente crollate, e urlava e chiedeva aiuto. Con una scala a ganci raggiunsi il piano dove si trovava la donna, la legai con una corda, ma per meglio ancorarla usai la mia cinta dei pantaloni. La feci scendere sulla scala, tenendo la corda sempre in tiro. Non scesi con lei perché dovevo soccorrere anche altre persone rimaste bloccate ancora più in alto. Gli dissi che, una volta scesa, avrebbe dovuto legare la cinta alla corda, affinché io potessi recuperarla. Ma la donna, che certo era presa da altri pensieri, una volta a terra se ne andò via di corsa, portandosi via la cinta. Tenevo tanto a quella cinta perché era un regalo di nozze. Voi giovani la guerra la conoscete soltanto sui libri, ma per chi come me l'ha vissuta fu qualcosa di terribile. Feci un quadro ispirato a quel terribile giorno, una donna con in braccio un bambino, suo figlio morto. Sullo sfondo le macerie e la Basilica di San Lorenzo distrutta".
Il vigile volontario Gualtiero Sensi, in servizio a Roma nel 1943, scrisse qualche anno dopo:
"[] nel mio secondo turno di servizio nella città e cioè dal 1o luglio '43 a metà settembre, fu veramente un tragico periodo per Roma poiché vi avvennero i bombardamenti più disastrosi, tra i quali quello famoso del quartiere tiburtino del 22 luglio [19 luglio, nda] e Scalo di San Lorenzo. Colà per 48 ore di seguito, senza cambio di sorta, ho prestato tutta la mia opera per il disseppellimento delle vittime assistendo a scene veramente strazianti. Avevo alle mie dipendenze una squadra e con essa ho recuperato anche vari oggetti di valore e denaro scrupolosamente restituiti ai legittimi proprietari dei quali conservo, come ricordo, le ricevute".
Infine i drammatici ricordi di Franco Ergasti, sepolto dalle macerie di un palazzo di San Lorenzo e salvato da un soccorritore:
"Non lo hanno mai voluto raccontare, ma quei piloti si divertivano a sparare sui bambini e sui civili che scappavano. Sulla linea dritta della Tiburtina si abbassavano e sparavano. Andate a vedere sugli alberi di piazzale del Verano, quelli più vecchi. Ci sono ancora i fori dei proiettili".
In totale, il 19 luglio 1943 i vigili del fuoco misero in salvo 477 feriti e recuperarono 415 salme.
Otto pompieri rimasero gravemente feriti durante le operazioni di soccorso, e uno di loro, Cairoli Madocci, morì il 7 agosto 1943 nell'ospedale del Littorio.

I bombardamenti successivi

Dopo il 19 luglio del 1943 Roma venne bombardata diverse altre volte (Cesare De Simone riferisce nel suo libro, già citato, di ben cinquantatre bombardamenti.
Secondo altri autori quelli censiti con sicurezza sono però soltanto dodici).
Il mattino del 13 agosto 1943 circa trecento bombe furono lanciate sull'aeroporto del Littorio, mentre centosei fortezze volanti, scortate da quarantacinque Lightning, scaricarono un altro centinaio di ordigni che colpirono gli scali ferroviari di San Lorenzo, del Littorio, Tuscolano, Casilino e Prenestino e le linee ferroviarie Roma-Napoli e Roma-Orte.
Una testimonianza d'eccezione relativa a quel giorno è in una dichiarazione scritta di tre vigili del fuoco in servizio per l'occasione, controfirmata dal loro comandante Salvatore Bontà:
"Il giorno 13/8/43 in Roma alle 11:30 durante l'incursione aerea nemica siamo usciti dalla caserma Collazia con la macchina Alfa 500 targa 2404 per soccorso dei feriti che si trovavano nel treno Bari-Roma colpito da bombe. Numerosi erano i feriti trovati sul posto ed allora si dovette procedere a caricarli sul nostro automezzo per portarli di urgenza all'ospedale; fra gli altri feriti è stata adagiata sull'autocarro la signora Mereu Adele di Riccardo e di Napoleone Ester, nata a Cagliari il 12 luglio 1915, maritata con il dott. Antonino Piazza, il quale per quanto ferito ha voluto proseguire a piedi per recarsi all'ospedale. Mentre si stava ultimando il carico delle vittime una bomba colpì in pieno la macchina che fu distrutta completamente e non fu più trovata traccia alcuna delle vittime sopra di esso caricate".
I bombardamenti proseguirono ancora per tutto il 1943 e fino al pomeriggio del 3 giugno 1944, il giorno precedente all'entrata in città delle truppe alleate.
Riporto dal memoriale di Gualtiero Sensi più volte citato, che prestò servizio a Roma dall'1 luglio a metà settembre del 1943:
"Da quel giorno [19 luglio 1943] fino all'8 settembre è stato un continuo accorrere sia nella città stessa che fuori, come a Civitavecchia ove rimasi per due giorni, a Casilina, a Ostia ecc.. L'ultimo bombardamento è stato quello di Frascati, il 6 settembre. Mentre eravamo là per disseppellire parte della popolazione rimasta sepolta viva nelle cantine, i tedeschi irruppero improvvisamente nella città, ci fecero sospendere il nostro pietoso lavoro e requisitoci ogni materiale e mezzo di trasporto ci costrinsero rudemente a tornare in Roma. Così dovemmo fare diciotto chilometri di strada a piedi prima di poter rientrare nella nostra caserma Testaccio".

I caduti in servizio del Corpo di Roma

I vigili del fuoco di Roma e provincia pagarono un tributo molto alto durante la guerra.
Il 14 maggio 1943, a Civitavecchia persero la vita otto vigili provenienti da varie città e che si erano trovati nella cittadina portuale per lo svolgimento di un corso nautico.
Come già detto, per il bombardamento del 19 luglio 1943 morì il vigile Cairoli Madocci.
Dopo l'armistizio, il 5 dicembre 1943, morì anche il brigadiere Maurizio Fioravanti, in servizio presso l'officina del comando di via Genova, a causa di un mitragliamento aereo al km 28.00 della via Flaminia.
Il vigile Arcangeletti fu invece mitragliato durante un intervento all'aeroporto del Littorio il 15 gennaio 1944.
Lo stesso mese, durante un'incursione aerea su Velletri, caddero il vigile Ugo Dominizi, rimasto vittima del crollo della locale caserma, e il vigile Salvatore Rondoni mitragliato mentre trasportava alcuni feriti.
Il vigile Rosi morì durante un bombardamento aereo alleato su Marino.
Il 14 marzo 1944 il brigadiere Benedetto Bucci perse la vita durante un intervento di soccorso nella zona del Prenestino, colpita dall'ennesimo bombardamento.
Mentre era intento, con i colleghi, a scavare per soccorrere tre persone intrappolate tra le macerie, un ulteriore improvviso crollo aveva investito i sei componenti della squadra e un gregario dell'UNPA.
Chiamati dai superstiti, giunsero in soccorso alcuni vigili delle caserme Collazia e Tuscolana, che già stavano operando nelle vicinanze.
Dopo circa otto ore di scavi ininterrotti, furono liberati dalle macerie cinque vigili del fuoco e il gregario dell'UNPA, miracolosamente ancora vivi, ma per il vice brigadiere Bucci non ci fu nulla da fare.

L'armistizio dell'8 settembre 1943

L'armistizio dell'8 settembre 1943 gettò tutta l'Italia in un caos che non risparmiò i vigili del fuoco.
Questi ultimi, infatti, a causa del precipitare degli eventi si trovarono privi di ogni comunicazione.
L'occupazione tedesca, che in pratica tagliò a metà il paese, vide di fatto l'esistenza di due corpi nazionali paralleli: il primo al Nord, che rispondeva alle autorità fasciste della Repubblica di Salò, l'altro nel Meridione, sotto il regno sabaudo.

Le vittime delle Fosse Ardeatine

Nel 1944 i vigili del fuoco di Roma furono protagonisti del drammatico recupero dei resti delle vittime della strage nazista delle Fosse Ardeatine.
L'esumazione delle 335 vittime della strage ebbe inizio il 26 luglio del 1944 e fu eseguita dai vigili di Roma con un'azione difficile sia dal punto di vista tecnico che umano.
L'intervento fu coordinato dal maggiore dei vigili del fuoco Antonio D'Acierro, che seguì personalmente i lavori protrattisi per decine di giorni.
Questo triste recupero è rimasto nella memoria, entrando nella storia del nostro Paese come una pietra miliare tra le innumerevoli operazioni compiute dai vigili della capitale nel periodo bellico.
Così come riportato dalla cronache dell'epoca, alle Fosse Ardeatine, dove furono impegnati 10 ufficiali e 30 fra sottufficiali e vigili del fuoco, il lavoro si articolò in due distinte fasi: prima fu necessario raggiungere la base delle gallerie e asportare il terriccio, dopodiché, una volta arrivati al tunnel teatro dell'eccidio e individuate le vittime, l'area venne isolata e fu dato l'avvio al recupero di quei poveri resti.
Nel corso delle operazioni di scavo, rallentate dalle continue frane delle pareti e dei soffitti dei cunicoli, vennero asportati a mano circa 2000 metri cubi di terra; inoltre furono rinvenuti 300 candelotti di dinamite inesplosi e una trentina di proiettili d'artiglieria.
I vigili dovettero aprirsi la strada attraverso cumuli di detriti provenienti dalla sommità delle gallerie, fatte esplodere appositamente dai tedeschi per impedire di raggiungere ai soccorritori il luogo delle esecuzioni.
Ma questo non scoraggiò la determinazione di quanti erano impegnati in questo compito e, dopo la messa in sicurezza delle volte, iniziò la pietosa opera di rimozione delle salme.
Lo spettacolo che si presentò ai vigili del fuoco fu agghiacciante: i corpi erano riversi gli uni sugli altri, ammucchiati, ricoperti da uno strato di pozzolana e di terriccio.
Quasi tutti si trovavano in posizione prona, con le mani legate dietro la schiena, e indossavano abiti civili: una scena disumana e spettrale.

 

I vigili del fuoco in Dalmazia e Istria

A cura di Alessandro Mella

Con la nazionalizzazione dei servizi antincendi, in tutti i capoluoghi italiani furono costituiti dei corpi provinciali di vigili del fuoco ordinati secondo le lettere dell'alfabeto.
Tra le varie province del Paese c'erano quella del Carnaro, con capoluogo Fiume, e poco distante Pola e una parte della Dalmazia, che aveva il suo centro più importante in Zara.
Queste tre grandi città vissero momenti molto difficili per via della loro posizione, e i vigili locali parteciparono in prima persona ai grandi corsi e ricorsi degli eventi.
La prima delle città italo-dalmate a vivere la furia del Secondo conflitto mondiale fu Zara, sottoposta a un breve assedio da parte delle truppe jugoslave nell'aprile del 1941, quando gli aerei nemici bombardarono una prima volta il centro urbano colpendo, tra gli altri, i celebri stabilimenti della Luxardo.
Nel corso della guerra furono però gli apparecchi alleati a colpire Zara per ben 54 volte, riducendola in macerie.
Il locale corpo dei vigili del fuoco affrontò periodi molto duri e rimase isolato dal resto d'Italia ricevendo soltanto aiuti portati, fortunosamente, dai colleghi triestini.
Per una lunga fase la città fu una terra di nessuno dove regnavano caos e desolazione, a cui i vigili tentarono d'opporsi nonostante i pochi mezzi e uomini rimasti, finché non fu indispensabile il loro ripiegamento su Brescia, nel tardo 1944.
I vigili del fuoco di Pola ebbero il merito di organizzare, nel 1941, presso la scuola CREM della regia Marina Italiana, il corso per Padroni di Barca e Motoristi navali finalizzato a formare il personale del naviglio antincendi.
Successivamente, il 9 febbraio del 1943, la loro città subì una disastrosa incursione aerea che causò decine di morti e notevoli danni.
Ma fu in seguito ai fatti derivanti dall'armistizio dell'8 settembre 1943 che i vigili polesani divennero celebri per il drammatico e pietoso recupero delle vittime delle Foibe.
Con la fine del conflitto, parteciparono poi all'esodo degli italiani locali diretti verso la Penisola, venendo in un primo tempo accolti alle Scuole Centrali Antincendi, prima di essere destinati altrove.
Anche i vigili di Fiume furono presto coinvolti negli eventi bellici e con l'avanzata delle forze dell'Asse nella campagna contro la Jugoslavia fornirono personale per presidiare le caserme nei territori occupati, costituendo anche un nuovo distaccamento nella cittadina di Susak.

Le vittime delle foibe

Nel novembre del 1943, nove uomini dell'87o Corpo Vigili del Fuoco di Trieste furono inviati, sotto scorta, nella località di Comeno (oggi in territorio sloveno) per l'esplorazione di una cavità naturale.
Al suo interno, secondo alcune testimonianze, i partigiani slavi di Tito avevano gettato i corpi di otto persone.
Allestita un'impalcatura sull'orlo della foiba, il sottufficiale dei vigili Marsini si calò nell'oscurità e rinvenne, a 95 e a 145 metri di profondità, le salme degli sventurati.
Dopo la sua risalita in superficie venne preparata una seconda impalcatura e fu dato corso alla delicata opera di riesumazione dei cadaveri, a cui prese parte lo stesso Marsini aiutato dai vigili Scabra, Batti, Valenti, Macor, Lissiak, Ravalico e Micheli.
Ma non si trattò di un episodio isolato. Già un mese prima, nell'ottobre del 1943, il maresciallo Arnaldo Harzarich, del 41o Corpo dei Vigili del Fuoco di Pola, aveva a sua volta esplorato una foiba a Cregli di Barbana, rinvenendovi i resti di diverse persone.
I corpi furono poi portati in superficie dallo stesso Harzarich e dagli uomini della sua squadra il 18 dicembre del 1943.
Sempre ad Harzarich e ai suoi compagni si deve il recupero di molte vittime occultate nelle cavità carsiche dell'istriano, come nella foiba di Vines, profonda 226 metri, da cui furono tratti 84 cadaveri, quella di Surani, presso Antignana, che celava 26 salme, quella di Terli, presso Barbana, da cui vennero riportati alla luce 26 corpi, quella di Semi, a Lupogliano, occupata da 120 vittime.
E il triste elenco comprende, fra l'altro, anche le foibe di Gimino, Castellier, Carnizza, San Lorenzo del Basanatico, Marzara, Rozzo, Pisino, Lindaro.

 

Il battaglione Santa Barbara

L'idea di uno sbarco sull'isola di Malta rappresentò uno dei più ambiziosi progetti delle Forze Armate dell'Asse (composto da Germania, Italia e Giappone), che speravano in tal modo di fermare i rifornimenti alle truppe britanniche in Nord Africa e di avere un ulteriore caposaldo nel Mediterraneo.
Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sempre pronto a offrire il proprio contributo allo sforzo bellico del Paese, istituì per l'occasione il battaglione Santa Barbara.
Nell'estate del 1942 furono raccolti i nominativi dei volontari che ne avrebbero fatto parte, i quali sapevano solo di dover partecipare al conflitto direttamente in "zona d'operazioni".
Dopo una durissima selezione, il personale scelto raggiunse Roma nell'ottobre dello stesso anno, per la formazione del reparto e il relativo addestramento.
Tutti furono alloggiati in un campo vicino alle Scuole Centrali Antincendi, allestito con le tende messe a disposizione dai vari reparti di vigili del fuoco d'Italia.
Sconosciuto ai più, il battaglione speciale Santa Barbara, comandato dall'ing. Osvaldo Piermarini, era stato richiesto dal comando supremo delle Forze Armate come struttura tecnica di appoggio per lo sbarco a Malta.
Per l'approdo sull'isola, le autoscale impiegate prima dello scoppio della guerra furono private delle torrette e delle volate, che vennero invece impiantate su grandi posamine.
Malta, infatti, si presenta come un piatto altopiano emergente dal mare, con coste ad andamento quasi verticale che spesso ricordano le falesie bretoni e normanne.
L'operazione, studiata in ogni dettaglio, prevedeva che tramite le scale si sarebbero dovuti superare gli speroni rocciosi, per poi accedere all'estesa pianura che conduceva alle installazioni aeroportuali di Luqa.
La grave situazione seguita alla seconda battaglia di El Alamein fece però abbandonare l'idea di uno sbarco.
Nel frattempo, al rovescio subito in Nord Africa dalle truppe tedesche e italiane, si era aggiunta una violenta ondata di incursioni aeree nemiche, in particolare concentrate sulle città settentrionali della nostra penisola.
In ragione di ciò il battaglione Santa Barbara fu diviso in cinque diverse centurie di circa 120 unità ciascuna da destinarsi come rinforzo ai centri urbani che potenzialmente avrebbero potuto subire maggiormente l'azione avversaria.
Fu così che quei vigili del fuoco, radunati per intraprendere un'azione bellica, finirono per portare soccorso e aiuto ai colleghi in maggior difficoltà a causa dell'inasprimento della situazione nel fronte interno.

 

Il Corpo nazionale dopo l'armistizio del 1943

Dopo l'armistizio dell'8 settembre del 1943, firmato fra il maresciallo Badoglio e gli Alleati, che causò subito attriti con le forze tedesche presenti nella Penisola, la Direzione Generale dei Servizi Antincendi si trovò nella necessità di allestire un'autocolonna per raggiungere la sede di Ponte di Legno (BS).
Partiti il 23 ottobre del 1943, appena giunti a destinazione i funzionari del Corpo nazionale ricollegarono fra loro i reparti dei vigili del fuoco sparsi nel Nord Italia mediante un servizio di staffette in motocicletta.
Nel corso del 1944 si occuparono inoltre di recuperare le volate delle autoscale cedute due anni prima alla Regia Marina, ormai sciolta.
A causa di un'azione partigiana la direzione dovette però trasferirsi a Seregno.
Fu in quell'occasione che il prefetto Giombini riuscì a impedire una rappresaglia tedesca a danno della popolazione di Pezzo (BS).
Tuttavia anche questa seconda sistemazione fu provvisoria e a ottobre di quell'anno la sede definitiva divenne Milano.
I responsabili del Corpo nazionale disposero immediatamente l'attivazione delle Scuole provvisorie a Chiari (BS), la riattivazione del servizio antincendi nei porti e il rinforzo dei reparti sottoposti ad attacchi aerei.
Furono momenti estremamente difficili, poiché la Direzione Generale dei Servizi Antincendi si trovò spesso a dover compiere azione di moderazione sulle autorità fasciste, inferocite dall'intensificarsi delle missioni partigiane, a cui partecipavano anche dei vigili del fuoco.
Inoltre era necessario tutelare il proprio personale dai rischi gravi che correva nel servizio d'istituto come nella quotidianità, resa molto difficile da quel clima infuocato.
Un altro problema fu quello di gestire i reparti di vigili del fuoco che si trovavano nei territori del Nord-Est, arbitrariamente annessi al Terzo Reich dai nazisti.
Tuttavia fu sempre garantito il soccorso alla popolazione, che vide gli uomini del Corpo nazionale operare l'uno accanto all'altro incuranti delle divisioni politiche createsi in quel momento drammatico.
La direzione del Nord Italia cessò di operare nel maggio del 1945, quando consegnò tutta la documentazione e la contabilità alle autorità nominate dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, in accordo con il governo militare alleato.
Passate le consegne, fu istituito un Ispettorato del Nord provvisorio, con il compito di assumere per un breve periodo le funzioni dell’ex direzione repubblicana.

 

Bibliografia

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