Santa Barbara

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Santa Barbara è la Santa che rappresenta la capacità di affrontare il pericolo con fede, coraggio e serenità anche quando non c'è alcuna via di scampo. È stata eletta, infatti, patrona dei Vigili del Fuoco, in quanto protettrice di coloro che si trovano "in pericolo di morte improvvisa".

Nacque a Nicomedia nel 273. Si distinse per l'impegno nello studio e per la riservatezza, qualità che le giovarono la qualifica di 'barbara', cioè straniera, non romana. Tra il 286-287 Barbara si trasferì nella villa rustica di Scandriglia, oggi in provincia di Rieti, al seguito del padre Dioscoro, collaboratore dell'imperatore Massimiano Erculeo. Il padre aveva destinato Barbara in sposa al prefetto di Nicomedia, ma lei rifiutò di sposarsi. Il padre furente la fece processare e condannare a morte, a causa della sua fede cristiana. La ragazza fu così costretta a rifugiarsi in un bosco dopo aver distrutto gli dei nella villa del padre. Trovata, fu consegnata al prefetto Marciano. Venne allora rinchiusa in una cella della fortezza di Nicomedia. Nella prigione, un giorno, si sprigionò un incendio: Barbara uscì viva dalle fiamme. Durante il processo, che iniziò il 2 dicembre 290, Barbara difese il proprio credo ed esortò Dioscoro, il prefetto ed i presenti a ripudiare la religione pagana per abbracciare la fede cristiana. Questo le costò dolorose torture. Il 4 dicembre infine, fu decapitata con la spada dallo stesso Dioscoro, che fu colpito però da un fulmine. La tradizione invoca Barbara contro i fulmini, il fuoco e la morte improvvisa. I suoi resti si trovano nella cattedrale di Rieti.

Esistono molte redazioni in greco e traduzioni latine della passio di Barbara; si tratta, però, di narrazioni leggendarie, il cui valore storico è molto scarso, anche perché vi si riscontrano non poche divergenze. In alcune passiones, infatti, il suo martirio è posto sotto l'impero di Massimino il Trace (235-38) o di Massimiano (286-305), in altre, invece, sotto quello di Massimino Daia (308-13). Né maggiore concordanza esiste sul luogo di origine, poiché si parla di Antiochia di Nicomedia e infine, di una località denominata 'Heliopolis ', distante 12 miglia da Euchaita, città della Paflagonia. Nelle traduzioni latine, la questione si complica maggiormente, perché per alcune di esse Barbara sarebbe vissuta nella Toscana, e, infatti, nel Martirologio di Adone si legge: 'In Tuscia natale sanctae Barbarae virginis et martyris sub Maximiano imperatore'. Ci si trova, quindi, di fronte al caso di una martire il cui culto fino dall'antichità fu assai diffuso, tanto in Oriente quanto in Occidente; invece, per quanto riguarda le notizie biografiche, si possiedono scarsissimi elementi: il nome, l'origine orientale, con ogni verosimiglianza l'Egitto, e il martirio. La leggenda, poi, ha arricchito con particolari fantastici, a volte anche reali, la vita della martire: si tratta di particolari che hanno avuto un influsso sia sul culto come sull'iconografia. Il padre di Barbara, Dioscoro, fece costruire una torre per rinchiudervi la bellissima figlia richiesta in sposa da moltissimi pretendenti. Ella, però, non aveva intenzione di sposarsi, ma di consacrarsi a Dio.

Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata e volendo ricevere il sacramento della rigenerazione, si recò in una piscina d'acqua vicino alla torre e vi si immerse tre volte dicendo: 'Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo'. Per ordine del padre, la torre avrebbe dovuto avere due finestre, ma Barbara ne volle tre in onore della S.ma Trinità. Il padre, pagano, venuto a conoscenza della professione cristiana della figlia, decise di ucciderla, ma ella, passando miracolosamente fra le pareti della torre, riuscì a fuggire.

Nuovamente catturata, il padre la condusse davanti al magistrato, affinché fosse tormentata e uccisa crudelmente. Il prefetto Marciano cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito; poi, visti inutili i tentativi, ordinò di tormentarla avvolgendole tutto il corpo in panni rozzi e ruvidi, tanto da farla sanguinare in ogni parte. Durante la notte, continua il racconto seguendo uno schema comune alle leggende agiografiche, Barbara ebbe una visione e fu completamente risanata. Il giorno seguente il prefetto la sottomise a nuove e più crudeli torture: sulle sue carni nuovamente dilaniate fece porre piastre di ferro rovente. Una certa Giuliana, presente al supplizio, avendo manifestato sentimenti cristiani, venne associata al martirio: le fiamme, accese ai loro fianchi per tormentarle, si spensero quasi subito. Barbara, portata ignuda per la città, ritornò miracolosamente vestita e sana, nonostante l'ordine di flagellazione. Infine, il prefetto la condannò al taglio della testa; fu il padre stesso che eseguì la sentenza. Subito dopo un fuoco discese dal cielo e bruciò il crudele padre, di cui non rimasero nemmeno le ceneri. L'imperatore Giustino, nel sec. VI, avrebbe trasferito le reliquie della martire dall'Egitto a Costantinopoli; qualche secolo più tardi i veneziani le trasferirono nelle loro città e di qui furono recate nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Torcello (1009). Il culto della martire fu assai diffuso in Italia, probabilmente importato durante il periodo dell'occupazione bizantina nel sec. VI, e si sviluppò poi durante le Crociate. Se ne trovavano tracce in Toscana, in Umbria, nella Sabina. A Roma, poi, secondo la testimonianza di Giovanni Diacono (Vita, IV, 89), San Gregorio Magno, quando ancora era monaco, amava recarsi a pregare nell'oratorio di Santa Barbara. Il testo, però, ha valore solo per il IX sec.; comunque, è certo che in questo secolo erano stati costruiti oratori in onore di Barbara, dei quali fa testimonianza il Liber Pontificalis (ed. L. Duchesne, II, pp. 50, 116) nelle biografie di Stefano IV (816-17) e Leone IV (847-55).

Barbara è particolarmente invocata contro la morte improvvisa (allusione a quella del padre, secondo la leggenda); in seguito la sua protezione fu estesa a tutte le persone che erano esposte nel lavoro al pericolo di morte istantanea, come gli artificieri, gli artiglieri, i carpentieri, i minatori; oggi venerata anche come protettrice dei Vigili del Fuoco. Nelle navi da guerra il deposito delle munizioni è denominato 'Santa Barbara'. La festa di Barbara è celebrata il 4 dicembre.

 

La preghiera

Iddio, che illumini i cieli e colmi gli abissi,
arda nei nostri petti, perpetua,
la fiamma del sacrificio.

Fa più ardente della fiamma
il sangue che scorre nelle vene,
vermiglio come un canto di vittoria.

Quando la sirena urla per le vie della città,
ascolta il palpito dei nostri cuori
votati alla rinuncia.

Quando a gara con le aquile
verso Te saliamo,
ci sorregga la Tua mano piagata.

Quando l'incendio, irresistibile avvampa,
bruci il male che si annida nelle case degli uomini,
non la ricchezza che accresce la potenza della Patria.

Signore, siamo i portatori della Tua croce,
e il rischio è il nostro pane quotidiano.

Un giorno senza rischio non è vissuto,
poichè per noi credenti la morte è vita,
è luce: nel terrore dei crolli,
nel furore delle acque,
nell'inferno dei roghi.

La nostra vita è il fuoco,
la nostra fede è Dio
Per Santa Barbara Martire.

 

La leggenda di Barbara da Nicomedia

Articolo di Diego Cerrone

La leggenda. In un certo luogo dell'immenso Impero Romano ed in un tempo in cui la ferocia dei persecutori delle sette cristiane era animata da quel fervore caratteristico di chi ostacola i processi epocali di rinnovamento, visse una splendida fanciulla chiamata Barbara. Ella era ciecamente amata dal padre Dioscoro il quale aveva rifiutato numerose profferte di matrimonio di uomini speranzosi di sposare la bella Barbara perché preferiva che la ragazza convolasse a nozze con un alto dignitario romano. Dioscoro, gelosissimo, fece costruire una torre ove la figliola potesse dimorare nascosta agli sguardi degli uomini, nei lunghi periodi di assenza durante i quali l'uomo era costantemente impegnato nella sua attività di satrapo dell'imperatore, in quanto devoto e fedele servitore del suo signore e fervente adoratore delle divinità pagane. Barbara non era prigioniera della torre ed aveva facoltà di frequentare oneste compagnìe tra cui gli adepti della setta di una nuova religione che stava diffondendosi, seppure tra mille difficoltà, in tutto l'Impero, quella dei seguaci di Cristo, la cui principale aspirazione pareva essere il martirio nel nome dell'unico vero Dio. Poiché questo unico dio veniva rappresentato dalla trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Barbara ordinò ai muratori che avevano edificato la torre, con due sole finestre su ordine di Dioscoro, di aprirne una terza verso oriente in onore della trinità dei cristiani. Poi la fanciulla raggiunse uno stagno naturale che si era formato nei pressi della torre e tuffandosi tre volte in esso, si autobattezzò, consacrandosi a Dio; quindi tornò nella torre e sputò sul volto delle statue pagane che incontrò tornando alla torre. Quando Dioscoro fece ritorno dal suo viaggio e notò che una terza finestra era stata aperta nella torre, ne chiese spiegazione a Barbara. Allorché l'uomo comprese significato simbolico della terza finestra e seppe che la figlia aveva fatto voto di castità, fu preso da inaudito furore ed estrasse la propria spada per colpire la figlia, ma, proprio in quel momento, il muro della torre si squarciò e consentì a Barbara di fuggire, poi si richiuse dinanzi a Dioscoro. Barbara corse verso una roccia che si aprì davanti a lei e le permise di nascondersi. Il padre partì alla ricerca della figlia e chiese informazioni a due pastori: il primo dei due negò di aver visto Barbara, mentre il secondo la tradì e rivelò al padre il suo nascondiglio. Fu così che Dioscoro riuscì a scovare la ragazza ed a riportarla indietro battendola e trascinandola per i capelli; Barbara maledisse il pastore che l'aveva tradita e questi si trasformò in pietra insieme alle sue pecore che divennero scarabei. Dioscoro, furibondo, denunciò la figlia al prefetto del luogo che si chiamava Marciano e che cercò prima con le buone di convincere Barbara a rinnegare il suo credo religioso. Barbara non abiurò, ma, invece, prese ad insultare le divinità pagane, fredde ed immobili come le statue che le raffiguravano e come coloro che le adoravano. Marciano, stupito ed irritato dal comportamento della fanciulla, apparentemente debole ed indifesa, ma dotata di grande coraggio, ordinò che le sue nude carni venissero tormentate e fatte sanguinare con un panno ruvido e che poi la fanciulla passasse la notte in prigione a ravvedersi. Durante la notte un angelo visitò Barbara e la sanò, rassicurandola che Dio era dalla sua parte e che le sue sofferenze sarebbero state premiate. All'indomani Marciano, livido di rabbia per aver visto sanate le ferite della fanciulla ed ancor più perché non era ancora riuscito a vincere la caparbia della ragazza, ordinò che Barbara venisse martoriata con piastre roventi e che il suo capo fosse battuto con un martello. Poi, assieme ad una sua amica cristiana chiamata Giuliana, Barbara venne tormentata dal fuoco e dalle fiamme, ma queste, per volere di Dio, si spensero. Marciano volle allora che alle due donne fossero tagliati i seni e che Barbara, perché ne fosse fiaccato lo spirito ed il candore virginale , fosse condotta nuda per le vie della città e schernita dalla folla e flagellata lungo il cammino. Barbara pregò ancora Dio di aiutarla a difendere il suo pudore e così fu che i flagelli si mutarono in leggere piume di pavone, mentre il cielo si oscurò ed una fitta nebbia impedì alla popolazione di vedere le nudità della vergine. Marciano, letteralmente folle di rabbia, per non aver ottenuto alcun successo su di una inerme fanciulla, ordinò che il padre Disonoro le tagliasse il capo con la propria spada e Dioscoro, anch'egli furente per la risolutezza della figlia, non se lo fece ripetere due volte, ansioso di vibrare quel colpo mortale che avrebbe punito chi lo aveva disonorato. Barbara, allora, si rivolse per l'ultima volta a Dio e lo pregò di perdonare tutti quelli che, affidandosi alla memoria del suo martirio, non avessero avuto il tempo di pentirsi. Dioscoro, ebbro d'odio per la pervicacia della figlia, vibrò il colpo mortale , ma un istante dopo venne colpito da una violentissima folgore che lo cancellò dalla faccia della terra, facendone sparire finanche le polveri. Un uomo di nome Valentino trasferì il corpo di Barbara in un luogo chiamato Sole. Era il 4 di dicembre: i presenti furono così atterriti da quell'episodio che lo tramandarono per le generazioni a venire e si affidarono alla memoria di Barbara tutti coloro che furono colti da morte improvvisa e non ebbero il tempo di chiedere perdono a Dio.

Il contesto storico. È immaginabile che, come per ogni leggenda, anche quella della vergine di Nicomedia abbia un fondo di verità. Il contesto storico degli avvenimenti è senz'altro successivo alla prima diffusione del Cristianesimo nelle province orientali dell'Impero Romano ed antecedente al 313 d.C., anno in cui Costantino proclamò il Cristianesimo religione di Stato, unificando così i diversi culti monoteistici dell'epoca come quello del Dio dei Cristiani e quello del Sole Invitto che andavano sostituendo le moribonde divinità pagane, ormai incapaci di soddisfare il bisogno di spiritualità popolare. "Temporibus Claudii imperatoris Maximiani" riferiscono i codici del secolo VIII conservati a Rieti e presso il Vaticano, alludendo assai probabilmente a Massimiano Erculeo, Imperatore Romano d'Occidente dal 286 al 305 d.C., quindicennio in cui dovrebbero essersi svolti i fatti della leggenda, mentre ad Oriente, proprio a Nicomedia (detta anche Heliopolis, città del Sole, per il fasto dei monumenti fattivi erigere da Diocleziano) regnava Diocleziano, l'uomo che ideò la tetrarchia, il sistema di governo che aveva lo scopo di meglio dirigere il vasto Impero dividendolo in quattro macrosettori. In effetti i tempi di Diocleziano furono ricordati come quelli delle ultime, ma feroci persecuzioni nei confronti dei Cristiani, che, invece, da altri imperatori, erano stati trascurati. Gli scritti, dunque, furono redatti circa quattrocento anni dopo i fatti; inoltre aneddoti relativi a rocce che si aprono al passaggio di martiri, piaghe miracolosamente sanificate, presenza di torri e morti punitive per quei genitori che osteggiano le scelte di Fede delle figlie sono comuni anche ad altre Sante della tradizione antica. Tutto ciò non fa che confermare il significato allegorico-simbolico, per la Chiesa ed i cristiani che vissero prima dell'anno Mille, della vita di Santa Barbara che, come tutti i martiri, affrontava con inaudito coraggio inaudite sofferenze e conquistava la Vita Eterna, osando finanche umiliare le divinità pagane, mentre un padre malvagio non esitava a tagliare la testa alla sua unica e, senz'altro, amatissima figlia per poi essere folgorato da Dio, in una perfetta divisione manichea tra Bene e Male. La leggenda, certamente tramandata a memoria dalle diverse generazioni nei diversi luoghi di culto, si arricchiva di particolari cari ad altre tradizioni , anche pagane: si pensi al mito di Danae, vergine rinchiusa in una torre bronzea dal padre Acrisio perché non generasse figlio alcuno il quale, secondo l'oracolo, avrebbe spodestato il nonno; allora Zeus, trasformatosi in pioggia aurea entrò nella torre e dalla fecondazione di Danae nacque niente di meno che Perseo, anzi, a proposito di Zeus, non era quel Padre degli Dei solito scagliare folgori contro i suoi nemici, disintegrandoli?! Non è del tutto certo neppure il luogo del martirio: si parla di Nicomedia in Bitinia, l'attuale Izmit in Turchia, ma allora perché i codici fanno riferimento a Massimiano e non a Diocleziano? Prende sostanza una seconda ipotesi, cara ai laziali della Sabina, secondo cui Dioscoro (Dioscurus), alto funzionario (satrapus) e fedelissimo servitore dell'imperatore Diocleziano, oltre che puntuale osservante della fede pagana, forse più per convenienza politica che per reale convinzione, desideroso di donare la propria figliola ad un importante dignitario romano, magari allo stesso prefetto Marciano della leggenda, fosse stato inviato, quale premio alla sua fedeltà, in Italia a prestar servizio alle dirette dipendenze dell'imperatore Massimiano che gli riconobbe la cittadinanza romana. Dioscoro scelse di stabilirsi nei pressi di Scandriglia, un paese della Sabina, attualmente in provincia di Rieti. Qui l'uomo avrebbe fatto costruire la sua casa ed innalzare la famosa torre, ove la bellissima Barbara, durante le lunghe assenze paterne, si sarebbe potuta rifugiare al riparo da sguardi indiscreti . Da quelle parti esiste un scoglio in cui si è ricavata naturalmente una nicchia detta "di Santa Barbara" ed un'area campestre detta "costa del Sole o di Santa Barbara". Le cose, però, non andarono come Dioscoro aveva programmato. Poco prima dell'anno Mille i reatini prelevarono le spoglie della santa e li trasferirono nella loro città dove sarebbero ancora oggi, sotto l'altare maggiore della cattedrale di Rieti. Differente è la versione di chi vuole la vergine martire a Nicomedia: in questo caso le spoglie furono traslate prima a Costantinopoli dall'imperatore Giustino e poi a Torcello dai Veneziani, quindi nell'isolotto di Burano, anzi da queste ultime spoglie proviene il frammento venerato nella Chiesa di Santa Barbara delle Capannelle in Roma. Di teste della Santa ve ne sono addirittura tre, una in Pomerania, una a Novgorod in Russia e l'ultima, se non si vuole andare troppo lontano, a Montecatini in Toscana, regione ove il culto della Santa è assai diffuso per via delle molte miniere un tempo ivi esistenti. In fondo Dioscoro era legato da affetto morboso per la sua unica figlia e l'odio bestiale che le ha riservato appare tanto incredibile da sembrare falso: la sua reazione, se autentica, non venne solo dettata dalla conversione di Barbara, ma più dal voto di castità fatto dalla fanciulla e, quindi, di disubbidienza alla volontà paterna che la desiderava sposa, in un mondo romano ove le decisioni di una donna avevano scarsissimo peso. Chissà poi perché la ragazza venne chiamata Barbara: per greci e romani tale termine era sinonimo di "estraneo" e suonava come offensivo, per cui ci pare quanto meno inopportuno, per un fedelissimo dell'Impero, dare tale nome alla propria figlia che si sarebbe voluto dare in sposa ad un romano, forse il suo vero nome era un altro e venne definita "barbara" da quei pagani che intendevano offenderla mentre la tormentavano...anche questo mistero resta senza soluzione.

L'iconografia. Su una delle colonne della Chiesa di Santa Maria Antiqua in Roma è rappresentata una immagine del secolo VIII raffigurante Santa Barbara ed un pavone: si tratta della più antica raffigurazione esistente della Santa; il pavone allude alle penne dell'animale in cui si trasformarono, secondo la leggenda, i flagelli che straziavano le carni della vergine. Secondo altri non si tratterebbe di un pavone, ma dell'araba fenice, il mitico uccello orientale capace di rinascere ogni mille anni dalle proprie ceneri, a testimonianza della provenienza orientale di Barbara, ma questa seconda ipotesi appare forzata. Più tardi, all'immagine di Barbara, raffigurata da numerosi ed anche celebri artisti, fu associata la tradizionale torre che appare, generalmente, alle spalle della Santa oppure, miniaturizzata, tra le sue mani, come nel classico dipinto quattrocentesco di Cosimo Rosselli attualmente conservato alla Galleria dell'Accademia di Firenze. Le torri promanano sempre un valore simbolico del Divino, in quanto, oltre ad essere prigioni per le Sante, sono anche Porte del Cielo, Vie per la Divinità, dai tempi della biblica torre di Babele. A Rovigo, nella Chiesa di San Damiano, la magnifica scultura cinquecentesca di Pietro Baratta, alta due metri e munita di penna di pavone e pisside fa la sua imponente figura sull'altare detto "dei bombardieri" la cui scuola era proprio in quella città. Santa Barbara viene spesso raffigurata assieme ad altri Santi con l'aureola o con la corona, più raramente con la spada (ved. fig. 3 e fig.5), strumento del suo martirio supremo e quasi mai con la testa mozzata (ved. fig.1); piuttosto capita di vederla, in alcune rappresentazioni, in ginocchio, mentre Dioscoro protende la spada per decollarla. Oltre che con la torre ed le penne di pavone, la Santa è stata spesso riprodotta reggente la pisside, il calice che contiene le ostie benedette, per testimoniare quel potere concessole di impartire il sacramento a coloro che vengono colpiti dalla "mala morte", cioè dalla morte improvvisa, quella che non consente di pentirsi in tempo, quella che castigò il padre Dioscoro. A questo proposito si segnala, in figura 4, il ritratto realizzato da Luca Cranach il Vecchio e conservato nella pinacoteca di Dresda oltre al santino tedesco di fine ottocento di figura 5 in cui la santa indossa, peraltro, una verde veste sacerdotale. In ogni caso nessuno ha saputo immaginare meglio di Raffaello Sanzio il bellissimo volto della vergine di Nicomedia, nota proprio per questa sua dote, nel quadro della Madonna di San Sisto, realizzato dall'artista per i monaci benedettini di Piacenza nei primi anni del '500 e venduto due secoli dopo al principe di Sassonia Augusto III: si noti, in figura 2, alla destra della Madonna con bambino, il volto dolce e dimesso di Barbara alle cui spalle s'intravede l'immancabile torre. Dalla Francia alla Russia, dalla Germania all'Egitto non si contano chiese, cappelle, altari e dipinti dedicati a Barbara a testimonianza di quanto, ovunque nel mondo cristiano, la dolorosa e trionfale vicenda della vergine abbia colpito i cuori dei credenti che la vollero santa ben prima che ciò fosse proclamato dalla Chiesa Ufficiale (così come è accaduto per San Pio e così come accadrà per Giovanni Paolo II). Nel 1529 gli archibugieri della repubblica fiorentina si consacrarono a Barbara prima di affrontare l'esercito di papa Clemente VII, che auspicava il ritorno dei De Medici al governo del capoluogo toscano; nelle stive delle navi ove si conservavano le polveri mai mancava un ritratto della Santa, affinché il locale fosse protetto dai fulmini e dai colpi di cannone degli avversari, anzi, spesso, la stessa torre delle iconografie ricorda le polveriere militari. Con il passare dei secoli, la Santa venne invocata sempre più spesso da quanti vennero sorpresi da Morte inattesa e da quanti ebbero bisogno del coraggio necessario per affrontarla, sapendo di non poterla evitare. Nel 1954 Papa Pio XII, su domanda di Carlo Alberto di Cavallerleone, Arcivescovo di Trebisonda ed Ordinario Militare d'Italia, dichiarò "dopo Nostro esame e nella pienezza della Nostra Apostolica Autorità,... Santa Barbara di Nicomedia Vergine e Martire Principale Patrona presso Dio di Militari Italiani siano Artiglieri o Marinai o Genieri o Vigili del Fuoco con tutti e singoli privilegi e gli onori propri dei principali Patroni Celesti". A Montecatini, poco distante dalla chiesa di San Pietro Apostolo, è visitabile un parco ove, oltre ad un altare dedicato a Santa Barbara, sono conservati un cannone di artiglieria, delle bombe, un'ancora, del filo spinato, alcune lance dei vigili del fuoco ed un estintore assieme ad una pompa antincendio munita di attacchi per manichette. Assieme ad Acacio, Biagio, Caterina, Ciriaco, Cristoforo, Dionigi, Egidio, Erasmo, Eustachio, Giorgio, Margherita, Pantaleone e Vito, Barbara fa parte della schiera dei quattordici Santi Ausiliatori, quelli che erano più frequentemente invocati dalla Cristianità per ottenerne l'intercessione presso Dio. Il culto di Santa Barbara, trasferito dall'Oriente all'Occidente Romano ai tempi della riconquista bizantina del VI secolo, è troppo diffuso ed antico perché se ne possano affrontare tutti gli aspetti, senza calcolare che la verità è offuscata dai secoli e dalla mancanza di testimonianza certe e coeve, del resto la Fede può spostare le montagne, se è autentica, e non ha bisogno di prove, per cui il 4 dicembre, come vuole un'antica tradizione pre-cristiana, è possibile mettere in una brocca d'acqua dei rametti di ciliegio: fioriranno a Natale grazie al calore amorevole di Santa Barbara.

 

Il dipinto di Salvatore Tricarico

Un dipinto di Salvatore Tricarico per onorare la patrona del Corpo nazionale dei vigili del fuoco

Il pittore Salvatore Tricarico il 4 dicembre 2020 ha donato al Corpo nazionale dei vigili del fuoco un dipinto raffigurante Santa Barbara.
Nel quadro Tricarico ha conferito solennità alla maestosa figura della patrona del Corpo, che cinge sulla testa una corona d’oro di forma turrita e porta nella mano una verde palma. L’aspetto giovanile risalta nello sguardo vivido dei suoi luminosi occhi celesti, come è celeste anche il velo che scende dalla testa al collo e le contorna il viso, la cui espressione palesa la fermezza nell’affrontare le avversità, i pericoli di disastri e di morte. La santa che veglia sulla sicurezza delle persone, poggia i suoi piedi su una solida roccia che nell’arte cristiana raffigura Gesù, il Messia della salvezza.

Il pittore dà risalto alla persona con un una veste lunga, solenne, elegante di colore bianco, che rappresenta il candore di un animo leale, onesto e onorato. L’azzurro della cintura che le cinge i fianchi richiama una serenità di speranze radiose di luce e di pace. Il manto rosso è nella liturgia il colore dei martiri. A destra del dipinto lo stemma del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sotto cui è la bandiera d’Italia Verde, Bianca e Rossa e il nastro col motto in latino: “Flammas Domamus Donamus Corda” – “Domiamo la fiamma, Doniamo il cuore”; a sinistra della santa, in basso, risalta l’immagine delle piante abbattute dalla tempesta Vaia nel 2018, e a destra è rappresentato un incendio boschivo che richiama l’impegno volenteroso dei vigili del fuoco, che accorrono e affrontano i rischi ogni giorno, al suono della sirena. Nello stemma la fiamma esprime lo spirito di sacrificio e il desiderio di bruciare “il male che si annida nelle abitazioni e di salvaguardare la ricchezza che accresce la potenza della patria”.

In basso a sinistra è la firma dell’autore; il dipinto realizzato ad olio su tela centinata cm 70x105 è esposto nell’edificio principale delle Scuole Centrali Antincendi di Roma, di fronte l’ingresso del Sacrario dei Caduti.