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Il servizio antincendi nell’Antica Roma

A cura di Domenico Andriello

Quando Augusto prese in mano le redini del governo di Roma, iniziando l'epoca d'oro dell'Impero, si trovò innanzi al problema rimasto insoluto fin dai primi tempi di Cesare, quello cioè di preservare il popolo dai pericoli della carestia e della corruzione.
Già negli ultimi tempi della Repubblica la popolazione, in gran parte povera, era in rapido e notevole aumento, attratta a Roma dalle elargizioni periodiche di grano che, benché ridotte da Cesare, erano estese ad oltre 2.000 beneficiari.
L'agricoltura deperiva ed il grano doveva essere importato dalle province di oltre mare: la Sicilia, la Sardegna e l'Africa con la loro produzione sopperivano appena alle normali necessità; pertanto l'incapacità del Senato a far fronte alle aumentate esigenze di sorveglianza e di approvvigionamento del mercato, si faceva sempre più palese agli occhi di tutti.
Nella sua qualità di signore d'Egitto (il paese più ricco di grano del mondo, che forniva annualmente 20 milioni di staie a Roma) Augusto non poteva non porsi la risoluzione di questo problema vitale per il popolo dell'Urbe e dell'altro non meno importante ed assillante della sua sicurezza.
A causa della particolare struttura urbana e dei tipi edilizi allora in uso, nonché degli elementi nuovi ed eterogenei infiltratisi fra la plebe, gli incendi, i furti e le estorsioni si facevano sempre più frequenti favoriti dalla strettezza e tortuosità delle vie e dalla totale mancanza di illuminazione.
Gli incendi erano un vero flagello sia per frequenza che per estensione, per cui si imponevano energiche misure di salvaguardia non solo dal punto di vista repressivo, ma anche da quello della prevenzione della custodia.
Fu creato allora il vigile e con esso venne ufficialmente riconosciuta la necessità normativa della prevenzione e della custodia.
Il concetto era sorto assai prima e si può ravvisare nella protezione delle cose sacre.
A Ravenna e ad Alessandria esistevano organizzazioni di vigilanza notturna assai prima che Augusto le creasse in Roma.
Ai tempi della Repubblica non vi era un corpo ben organizzato a tal fine, ma bande di schiavi mantenute, per il loro tornaconto, da facoltosi privati.
Tentativi di organizzazioni regolari erano stati fatti con la creazione di un collegio di tre membri (Tresviri nocturni) a cui poi si aggiunsero i quinqueviri detti cis tiberim: tali organizzazioni risultarono tuttavia inadeguate alle necessità e gli appartenenti inadatti allo specifico compito sia per negligenza che per altre ragioni, fra cui quella dell'impossibilità di armare gli schiavi a cui affidare il delicato servizio.
Publio Villio, triunviro notturno, fu accusato da Publio, tribuno della plebe, di negligenza in un caso di incendio sulla Via Sacra.
Augusto cercò in principio di migliorare senza sconvolgerli, gli ordinamenti creati dai suoi predecessori e mise pertanto a disposizione degli aediles senatoriali un corpo di 600 schiavi per la custodia notturna della città e per l'estinzione degli incendi (22 A.C.).
Tuttavia né gli incendi né le malefatte accennarono a diminuire: il Senato dimostrava di non essere all'altezza delle difficoltà del mercato granario e di quelle della sorveglianza della città, se permetteva che Egnatius Rufus, esc edile, guadagnasse i favori del popolo mantenendo in efficienza una brigata privata di vigilanza che costituiva una aperta offerta agli ordinamenti imperiali.
L'iniziativa di Egnatius Rufus servì a provocare una più severa ordinanza sui doveri e sulle responsabilità degli edili, ordinanza che non valse a preservare Roma dalle distruzioni del fuoco e dei furti.
Augusto, dopo il gravissimo incendio dell'anno 7 A.C. decise pertanto di assumersi il compito dell'organizzazione della vigilanza e dell'approvvigionamento.

 

I Vigili nella Roma Dei Cesari

Augusto costituì 7 coorti di 1000 vigili su 49 centurie, comandate ciascuna da un tribuno e tutte dal Praefectus Vigilum che era cavaliere come il prefetto dell'Annona: l'importanza del Praefectus Vigilum è provata non solo dalla carica stessa del prefetto, che era una delle più alte funzioni dell'ordine equestre comportante i titoli di "eminentissimus", "clarissimus" e più tardi anche quello di "spectabilis", ma anche dal fatto che egli era gerarchicamente subordinato solamente al prefetto dell'Annona, a quello dell'Egitto ed a quello del Pretorio.
I turni di guardia delle sentinelle notturne alle mura ed altrove erano detti vigiliae, erano quattro e duravano dalle sei di sera alle sei del mattino successivo.
Da questi turni presero la denominazione di Vigiles i 7000 liberti appartenenti al nuovo Corpo.
Essi avevano il compito di tutelare di notte la città dai furti, prevenire e combattere gli incendi, arrestare gli schiavi rei e fuggiaschi, curare insomma la sicurezza dei cittadini.
Pur non costituendo in principio un corpo militare, i Vigiles erano pagati coi fondi dell'esercizio: solo nel III secolo assunsero la denominazione di Militia Vigilum ed avevano diritto di cittadinanza romana dopo sei anni di incensurato servizio, ridotti a cinque con legge Vitellia.
Col tempo e le conquistate benemerenze i vigili crebbero di importanza.
Ulpiano, giureconsulto romano del III secolo, Prefetto del Pretorio e poi dell'Annona, li definisce così secondo le attribuzioni:

  1. gli incendiarii (o addetti allo spegnimento degli incendi);
  2. gli scassinatori, ladri, rapinatori, ricettatori (o addetti alla repressione di tali manigoldi);
  3. gli addetti alla perlustrazione della città;
  4. gli ammonitori degli inquilini;
  5. i guardaroba (o addetti alla tutela patrimoniale dei cittadini).

La ronda notturna era la principale incombenza.
Molti portavano scure e secchio per intervenire prontamente in caso di incendio, alcuni dovevano avere fustes et flegellae per la punizione sommaria da dare ai ladri e ricettatori, altre squadre catturavano gli schiavi e perlustravano la città.
Augusto aveva diviso Roma in 14 regioni, affidando ad ogni Coorte la sorveglianza di due di esse.

 

Le Stazioni e le Coorti

I vigili abitarono in principio in case private adottate alla bisogna e poi ebbero sedi proprie, dette stazioni.
Ritrovamenti occasionali hanno dato indizi sicuri sull'ubicazione di qualche stazione e permisero di dedurre quella delle altre.
In Piazza SS. Apostoli, durante gli scavi per la costruzione del Palazzo Savorelli Muti, è stato accertato esservi stata la Stazione della I Coorte della quale si conserva incisa su un frammento di marmo trovato nei pressi della Chiesa di S. Cosma e Damiano la planimetria che si fa risalire al tempo di Settimio Severo.
Essa comprendeva tre cortili paralleli e quasi rettangolari di m. 35 per 135 ciascuno circondato da locali adibiti ai vari servizi. Nella stazione erano ospitati il quartiere generale del prefetto e 1000 uomini.
Secondo una iscrizione trovata in un ambiente dei bagni di Diocleziano, la II Coorte era nella regione VI: la stazione relativa, fatta erigere da Fulvius Manus, prefetto dei vigili, era dedicata a Settimio Severo. La IV Coorte era nella XII regione secondo una iscrizione trovata sul Monte Aventino, presso S. Saba, e la V era tra villa Mattei, sul Celio (II regione), e Porta Capena.
Il Richter precisa così l'ubicazione delle stazioni:

  • I Coorte, nella regione VIII (via Lata) responsabile anche della IX regione (Circo Flaminio).
  • II Coorte, nella regione V (Esquilino) responsabile anche della III (Fisis et Serapis).
  • III Coorte, nella regione VI (Alta Semita), responsabile anche della IV (Templun Pacis).
  • IV Coorte, nella regione XII (Piscina Pubblica) responsabile anche della XIII (Aventinus).
  • V Coorte, nella regione II (Coelimontana) responsabile anche della I (Porta Capena).
  • VI Coorte, nella regione VII (Forum) responsabile anche della X (Palatium).
  • VII Coorte, nella regione XIV (Trans Tiberim) responsabile anche della XI (Circus Maximus).

Dopo il III secolo le Coorti usavano assumere il nome dell'Imperatore reggente, sicché la prima era stata detta Antoniniana e la settima ebbe successive denominazioni come: Antoniniana da Caracalla, Severiana da Alessandro Severo, Filippiana dall'Imperatore Filippo l’Arabo, nonché Mamiana in onore di Mamaea, Augusta madre di Alessandro.

 

Il Prefetto dei Vigili

Il prefetto dei vigili non era un vero e proprio magistrato, ma non era neppure soltanto un ufficiale.
Da prefetto dei vigili si poteva ascendere a prefetto dei Pretoriani (più normalmente a prefetto dell'Annona) prima di arrivare alla massima posizione di praefecti Aegypti. C. Tettinus C.F. Africanus fu prefetto dei Vigili, poi dell'Annona, poi dell'Egitto.
Da Traiano a Diocleziano il prefetto ebbe ai suoi ordini anche un sottoprefetto e le sette Coorti ebbero aggiunte 14 sottostazioni o excubitoria.
Nel III secolo vi erano dei giuristi di valore alla carica di praefectus Vigilum.
Secondo Paulus, il prefetto doveva per totam noctem vigilare et coerrare.
Fu eminentissimus vir, spectabilis.
A lui portavano i colpevoli arrestati; i processi brevi venivano fatti di giorno e per colpe gravi i rei venivano deferiti al prefetto di città.
L'attività quindi del prefetto dei vigili non aveva termine col sorgere del sole, ma egli era sempre in carica.
Se la squadra addetta allo spegnimento degli incendi rimaneva ad un certo momento sprovvista di acqua, la responsabilità era del prefetto il quale doveva presenziare anche alle estinzioni.
La strana mescolanza delle funzioni dei prefetti dei vigili, in parte militari ed in parti giuridiche, ha impedito loro di essere, come si è detto, degli ufficiali veri e propri.
La loro carriera era quella dei procuratori: parecchi furono promossi al loro grado ab epistulis o a libellis, richiedendo la carica cognizioni giuridiche.
Il corpo alle dipendenze del prefetto era costituito come segue:

  • 2 Corniciarii
  • 1 Comentariensis
  • 1 Tabularius
  • 35 Benificiarii
  • 1 Princeps Tabulari,
  • 7 Actarii
  • 14 A questionibus
  • 1 Libriarius
  • 1 Exactus
  • Totale: 63 uomini

Il sottoprefetto aveva a disposizione:

  • 1 Cornoculiarius
  • 7 Beneficiarii
  • 1 Librarius
  • Totale: 9 uomini

Il tribuno della Coorte aveva con sé:

  • 1 Corniculiarius
  • 12 Beneficiarii
  • 4 Secutaroes
  • 7 Buccinatores
  • Totale: 24 uomini

Il corpo tecnico della Coorte era così costituito:

  • 3 Imaginiferi
  • 3 Optiones Balistriarum
  • 1 Optio Armamentarii
  • 3 Optiones carceris
  • 1 Optio convalescentium
  • 1 Victimarius
  • 1 Honerarius Cohortis
  • 1 Cacus
  • 2 Siphonarii
  • 2 Uncinarii
  • 1 Falciarius
  • 2 A balneis
  • 2 Aquarii
  • Totale: 25 uomini

Ogni Coorte aveva 4 medici, classificati immunes che non figuravano in forza ma erano sulle dediche.

 

Attribuzioni e servizi

Come si è detto il Corpo dei Vigili era formato da 7 Coorti: a capo di ciascuna di esse vi era un tribuno.
Le Coorti erano divise in 49 centurie a cui erano preposti i centurioni.
Il Praefectus aveva alle dipendenze un viceprefetto ed un sottoprefetto.
Il Beneficiarius del prefetto era il più vecchio soldato della centuria.
Il Questore (a quaestionibus) interrogava gli accusati.
Il Comentariensis redigeva i rapporti della giornata.
Gli Exceptores stenografavano gli ordini del prefetto.
Il Librarius registrava le razioni di danaro, frumento o altro, che spettavano ai vigili.
Il Tesserarius era il comandante del Corpo di guardia che dava ai vigili la parola d'ordine, cioè "il comando del capitano che fa muovere gli uomini alla battaglia o ad altra azione".
Il Cornicularius era il membro seniore addetto all'ufficiale superiore.
Il Vexillarius portava il vessillo di centuria, poiché non avevano stendardo. Egli era comandante in seconda nella centuria.
Il Signiferus portava l'insegna romana mentre lo Imaginiferus portava l'effige dell'Imperatore.
I segnali erano dati dai cornetti (cornicines), dalla tube (Tubicines) e dalle buccine (bucinae).
Alle carceri, che non erano carceri militari e che servivano per rinchiudervi gli arrestati notturni, era addetto il Carcerarius. I Fuggitivarii erano destinati all'inseguimento e cattura degli schiavi fuggiaschi.
Ogni Coorte aveva gli horrearii ed i balnearii che ungevano i vigili nel bagno ed i victimarii per i sacrifici.
Addetti agli incendi erano gli aquarii, i siphonarii, i centonarii, gli emitularii ed i sebaciarii.
Il Siphonarius era addetto alla macchina antincendi (siphones).
Gli emitulari si occupavano dei materassi destinati al salvataggio, mentre i sebaciarii provvedevano all'illuminazione con lumi a sego.
L'incarico del sebaciario durava un mese, ma si poteva ripetere nell'anno: era evidentemente un dovere periodico e molto importante a giudicare dalle iscrizioni rinvenute sui muri degli excubitoria o corpi di guardia.
Tutti i Vigili erano addestrati tanto al maneggio delle armi quanto all'uso degli arnesi del mestiere che erano d'altra parte limitati. E se non furono veri e propri soldati, ebbero tuttavia la denominazione di "Militi che possono rendere testimonianza all'uso militare" (Ulpiano).
Ai vigili era devoluta la tutela della proprietà mobiliare ed immobiliare dei cittadini da salvaguardare dagli incendi e dai furti.
Non si sa bene quale delle due mansioni fosse la preponderante. Non abbiamo più particolari ed abbondanti notizie sulla azione antincendi esplicata dai vigili nelle molteplici occasioni in cui il flagello del fuoco ha funestato l'Urbe.
Nel primo anno nel regno di Augusto, Roma fu preda di un violentissimo incendio che la distrusse in gran parte: due anni dopo un altro incendio mandava in rovina il Foro e gli edifici vicini.
Gli incendi si susseguivano con gli imperatori. Sotto Nerone, nel 64 D.C., il fuoco divorò cinque regioni.
Il fuoco, appiccato per dolo o fortuitamente, trovava esca nei grandi depositi (horrea) di grano, di olio, di spezie o di altro e si sviluppava prendendo vaste proporzioni a causa dell'addensamento edilizio e della tortuosità e strettezza delle strade.
Per avere una idea della situazione, dice il Nissen, basta pensare ad una Venezia senza laguna o alla vecchia Amburgo senza canali.
Anche la cattura degli schiavi e la repressione delle altre forme di delinquenza era resa particolarmente difficile dall'angustia e dall'oscurità delle strade.

 

L'attrezzature antincendi

I vigili, oltre alle armi portavano con loro: Centones (centoni, coperte di stracci), Hamae (secchie), Dolabrae (accette con lungo manico), Asciae (asce), Serrae (seghe), Mallei (martelli), Scalae (scale), Perticae (pertiche), Ferramenta (utensili di ferro), Spongiae (spugne).
I centoni, coperte costituite da un rozzo tessuto misto di pelli e di lana, venivano usati per primi dai centonari, i quali in caso di incendio, dopo averli inzuppati di acqua o di aceto, li disponevano a protezione delle case vicine all'incendio.
Ogni famiglia avveduta teneva, bene in vista insieme agli utensili casalinghi anche centoni ed aceto per arrestare "ipso ortu" eventuali incendi che potessero insorgere.
Con gli hamae, vasa sparta pice illita, (a causa dei quali i vigili furono anche scherzosamente chiamati "sparteoli") gli aquarii prendevano l'acqua di cui erano pieni i sifoni.
Con le dolabrae o accette demolivano le parti in fiamme o quelle che potevano essere attaccate dal fuoco e ciò allo scopo di impedirne la propagazione.
Allo stesso fine venivano impiegati ascie, serrae e mallei.
Per poter usare i centones i vigili avevano scalae e perticae.
Per le demolizioni venivano anche impiegati ferramenta, che erano utensili di ferro con lungo manico, aventi da una parte una punta acuminata e dall'altra la forma di una zappa.
Secondo lo scoliasta Giuliano Antecessoris anche le spugnae erano usate per lo spegnimento degli incendi.
Egli afferma infatti che: "Si dicono matricari quelli che vediamo correre agli incendi portando spongias cum ferramentis".
A parere invece del Du Change essi venivano detti matricari dalla parola matricola che presentavano al prefetto al momento della iscrizione.

 

I Vigili di Ostia

Finché il vecchio porto poté ricevere le numerose imbarcazioni che da tutto il mondo portavano provvigioni e tributi a Roma, furono rispettate le norme amministrative trasmesse dalla Repubblica.
Ma quando Claudio ebbe attuato il piano di Cesare con quel costosissimo impianto portuale i cui resti destano ancora oggi stupore, ed allontanò in un certo qual modo da Roma il pericolo di carestia, anche il questor ostiensis dovette cedere il posto ad un procuratore imperiale che prese il titolo di procuratore del porto di Ostia ed ebbe ai suoi ordini un corpo di Vigili.
Ostia si suppone sia stata fondata ai tempi della emissione della prima moneta romana, la quale aveva per conio una prora di nave.
Fu dapprima una piccola colonia militare, tosto ampliatasi e man mano sviluppatasi così che verso il 266 A.C., con l'istituzione della questura ostiense, essa assunse il carattere di urbs.
Già nel 215 A.C. ci risulta che si depositasse ad Ostia il grano di Sardegna; ad Ostia approdavano e da Ostia partivano pure le imbarcazioni destinate agli approvvigionamenti e quelle destinate alle battaglie di difesa e di conquista, per cui il suo vecchio porto sul fiume, che si andava insabbiando, non poteva che contenere ormai le sole navi del commercio, che agli inizi dell'impero era fiorente.
L'imperatore Claudio, nell'anno 42, pose mano ai lavori del nuovo porto, già ideato da Cesare, tutto artificialmente scavato alla destra del Tevere, al cui compimento occorsero dodici anni di lavoro ed ingentissime spese.
Esso fu inaugurato da Nerone, nel 54. Nonostante la sua grandiosità iniziale, dovette essere ulteriormente ampliato tra il 100 e il 106 da Traiano che vi aggiunse un bacino interno, scavando e allungando il canale di comunicazione tra il porto ed il fiume (l'attuale Fiumicino).
Collegata al porto mediante una strada, Ostia fiorisce ed in essa prosperano i commerci che le daranno per tutta la durata dell'impero splendore e ricchezza.
Ad Ostia, si sbarcano, oltre alle immense quantità di derrate, tutti i tributi che le numerose e ricche province dell'impero mandano alla capitale per il lusso della corte; marmi, stoffe rare, tappeti preziosi, spezie e profumi, gioielli, perle, flora e fauna esotica.
Gli edifici privati di Ostia sono costruiti quasi tutti in mattoni, di vario colore, legati da strati di calce e pozzolana a scopo decorativo: vi sono anche costruzioni a tre, quattro ed anche cinque piani con facciate movimentate da portici e da balconi, il tutto esteticamente ben congegnato.
Gli edifici pubblici, in travertino, hanno facciate maestose in blocchi squadrati, come gli horrea, ed a bugnati di tufo, legati a pareti interne da cortine di laterizi anche bicolori.
I rivestimenti di marmi preziosi e policromi, la ricchezza e l'originalità dell'architettura, i monumenti, le ville, i giardini e, nello sfondo, la vista del Tevere e del mare, fanno di Ostia una ridente città che vive della stessa vita di Roma, al cui approvvigionamento provvede, ricevendo e distribuendo le derrate ed immagazzinandole, con le varie merci nei grandissimi horrea pubblici e nei molti horrea privati.
I magazzini erano tanto grandi che alla morte di Settimio Severo si trovò una provvista di grano tale, che distribuendone 75.000 moggie al giorno, essa sarebbe bastata per sette anni.
Tutte queste ricchezze esigevano un'accurata sorveglianza e perciò Claudio, quando trasformò ed ampliò l'amministrazione annonaria, le dette un distaccamento di Vigili con le stesse funzioni ed attribuzioni di quelli romani.
L'amministrazione annonaria aveva un bel da fare: oltre al movimento e conservazione delle derrate doveva controllarne qualità e quantità; curare i pagamenti, organizzare e disciplinare le associazioni dei lavoratori, proprietari di navi, commercianti, e vigilare sulla vasta rete corporativa di operai, di barcaioli, di facchini, di gabellieri e perfino di palombari con le loro rappresentanze perfettamente organizzate e facenti capo alla camera di commercio.
La vita dei 100.000 abitanti, in questa città di traffico portuario, ben richiedeva la vigilanza solerte dei 700 Vigili forniti a turno dalle Coorti di Roma e dipendenti del Comando centrale.
Gli scavi di Ostia hanno fornito la quasi totalità del materiale che ha permesso di accertare l'esistenza e di ricostruire fedelmente le attribuzioni e le modalità di vita del Vigile nell'antica Roma (rinvenimento della caserma dei Vigili nella II regione).
La Stazione di Ostia è un edificio di tipo signorile, evidentemente casa privata prima che fosse requisita ed adibita a tale uso dal governo nell'ultimo tempo dell'imperatore Adriano.
Essa è isolata da quattro strade: Via della Palestra, Via dei Vigili, Via della Fullonica, Via della Fontana.
Sulle porte, larghe e decorate a lesene, vi sono alcuni graffiti di soldati, e ai lati i mosaici di due bettolini.
E' una costruzione rettangolare di m. 91,55 x 69,40 con un vasto cortile porticato che immette nelle stanze interne.
Un'iscrizione dice che fu restaurata sotto Settimio Severo, quando le grandi finestre comuni alle altre case di Ostia furono chiuse, lasciando solo la feritoia tipica di Roma militare.
Ad ovest fronteggiava una serie di botteghe incorporate più tardi nel quartiere dei Vigili.
La casa aveva tre entrate, due delle quali furono in seguito murate, lasciando aperta solo quella a levante.
Fra le stanze del pianterreno vi era il sacrario per il culto degli imperatori, dove sono tuttora le basi delle statue di Antonino Pio, Marc'Aurelio, Lucio Vero, Settimio Severo.
Di fronte vi è un mosaico bianco e nero in cui si vede fra l'altro un sacerdote presso un'ara, verso la quale un vittimario spinge il grasso torello destinato al sacrificio.
Si pensa che ogni caserma dei Vigili avesse un simile sacrario per il culto imperiale.
Le stanze a ponente erano forse riservate alla amministrazione, mentre il cortiletto dietro al sacrario, si pensa fosse destinato a dare luce a quelle stanze.
Il locale sito a nord del sacrario - ha rilevato il Raynolds - ha il travertino della soglia profondamente incavato come dal passaggio di ruote, che si suppone potessero essere quelle della macchina antincendi.
Egli stesso però osserva che la sola uscita possibile per una macchina era il grande portone di levante, sulla cui soglia non si riscontrano tracce.
Raynolds calcola che, escluse le stanze presso il sacrario e quelle a nord, vi fossero venti stanze intorno all'atrio e cioè 80 nei quattro piani.
Tenuto conto dei servizi e di alcune stanze a metà cubatura, ammettendo una distribuzione media di dieci uomini per stanza, la stazione poteva ospitare 600 uomini: numero corrispondente all'organico della Vexillatio ostiense cosi come risulta anche da numerose iscrizioni rinvenute.
Alcune di queste iscrizioni ricordano il nome dei Vigili ammessi alle distribuzioni di frumento; i funerali solenni di un Vigile morto in un incendio; operazioni felicemente riuscite; dediche all'imperatore regnante, ecc..
Dopo Adriano i Vigili rimasero in Ostia per oltre due secoli.
Il distaccamento o Vexillatio, era al comando di un Praepositus, tribuno comandante la Coorte.
Dopo Settimio Severo con il praepositus si trova menzionato anche il sottoprefetto, dal che si deduce che esso trascorreva a Ostia parte dell'anno e che durante la sua assenza fosse in sostituzione comandato da Roma un Curator Cohortium.
La Vexillatio stava a Ostia quattro mesi: il cambio si effettuava per gli Idi di aprile, agosto e settembre.
Il distaccamento era composto di 4 centurie prelevate da diverse coorti di Roma.
Vi erano:

  • 1 opti o 1 tesserarius
  • 1 cornicularius
  • 1 buccinator
  • 1 beneficiarius praefecti
  • 1 secutor tribuni

 

Divertimenti e culti

I Vigili di Ostia come quelli di Roma veneravano il dio Vulcano.
I Vulcanalia si celebravano alle calende di settembre di ogni anno nel Circo Flaminio, gettando nel fuoco pesci vivi.
Veneravano Ops Opif protettrice degli horrea di frumento; Jupter Dolichenus come Silvanus e i Genii: questi ultimi appartenevano al culto generale dell'armata.
Fu trovata una dedica del prefetto ai Geni di tutte le Coorti dei Vigili, specialmente della prima, e tracce di costruzioni di aedicule al genio di centuria.
La prodigalità del genio centuriale mostra la popolarità di questo culto, pari al culto imperiale e a quello del vessillo.
L'importanza del culto imperiale è dimostrata dalla posizione dominante dell'Augusteum o sacrario, nella caserma di Ostia e dal gran numero di dediche all'imperatore rinvenute negli scavi.
Festeggiamenti di carattere religioso si organizzavano anche in occasione di feste nazionali.
Un'iscrizione interessante ricorda i giochi dei Vigili, fatti nel 212, in gara con uomini del distaccamento della flotta imperiale di Miseno acquartierato a Roma, giochi che ebbero tanto successo da essere più tardi ripetuti, forse per il natalizio di Caracalla.

 

Bibliografia

  • Kelleermann, Vigilum romanorum latercula duo coelimontana. Roma, 1835.
  • Zander, De vigiiibus romanis. Amburgo, 1843.
  • De Magistris, La Militia Vigilum della Roma imperiale. Roma. 1898.
  • Origo, Origine della guardia permanente contro gli incendi. Atti dell'Accademia Romana di Archeologia.
  • Lovatelli, Scritti vari. Roma, 1898.
  • Werner, De incendiis urbis Romae. Lipsia, 1906.
  • De Rossi, Le stazioni delle sette Coorti dei vigili nella città di Roma. Annali dell'Istituto. 1858.